Ore 14. Il solleone d’agosto si fa sentire in modo impressionante sulla spiaggia di Levante. Lo stabilimento balneare è gremito fino all’inverosimile dalle migliaia di cittadini che ad ogni week end si spostano dalla metropoli alla ricerca di un salutare refrigerio. Sul bagnasciuga i pedalò bianchi e azzurri dondolano leggermente sotto l’effetto delle flebili onde del mare; gli ombrelloni, alcuni dai colori sgargianti, altri leggermente sbiaditi dal tempo, sventolano ritmicamente al soffiare di un afoso scirocco. Sotto di loro una moltitudine di bagnanti cerca riparo dai cocenti raggi solari del primo pomeriggio, alcuni elegantemente sdraiati su comodi lettini o su sdraio, altri accovacciati su asciugamani a mo di “quattro di bastoni”, altri ancora seduti sotto la piccola tettoia della loro cabina sfogliando il quotidiano di turno. Anche io non faccio eccezione, con il mio cappellino di paglia, mi godo la giornata di ferie sdraiato su un lettino con la scritta “Maresole”, mentre osservo con curiosità i numerosi bambini che sul bagnasciuga sguazzano nell’acqua e saltellano nelle buche scavate nella sabbia con le loro palette colorate, incuranti della moltitudine di granelli che li coprono dalla testa ai piedi. Dalla sua postazione elevata il bagnino controlla la sua zona di competenza, dispensando attenzioni ora a destra ora a manca, senza peraltro trascurare lo spettacolare infrangersi delle onde sugli scogli disposti disordinatamente sul lato sinistro dello stabilimento. Il sordo silenzio caratteristico dell’ora della siesta è interrotto ritmicamente dalla voce degli ambulanti che passano sul bagnasciuga con i loro prodotti, dagli strilloni del “cocco fresco cocco bello” a quelli del “vongole e pesce fresco”, passando per i più silenziosi e discreti “vu cumprà”. Cappellini, braccialetti, orologi, parei, asciugamani, anelli, palloncini, sembra incredibile la quantità di merce che riescono a trasportare questi immigrati, per di più camminando tutto il giorno avanti e indietro lungo il litorale sotto il sole cocente. Sono tanti, tutti africani, in maggioranza uomini, scappati dalla fame dei loro paesi d’origine e approdati in Italia in cerca di fortuna, lontani dalle famiglie e dai loro cari. Me ne sto tranquillo ad osservare due bimbi che si litigano un secchiello quando il mio sguardo viene distolto da un vu cumprà che cammina verso la mia postazione. Lo guardo con curiosità. In testa ha una decina di cappelli, uno dentro l’altro, che lo fanno sembrare più alto di quello che è; sulle spalle una serie di asciugamani di vari colori, mentre con una mano regge una lastra di compensato con appesi una miriade di oggetti di bigiotteria, dagli occhiali da sole agli orologi, dagli anelli ai braccialetti, dalle collane ai portafogli; nell’altro avambraccio, piegati a metà, un numero imprecisato di parei e camicette. Il suo andamento è stanco, lo conferma l’espressione della sua faccia. Si guarda intorno per cercare qualcuno che lo chiami, probabilmente più per riposarsi che per vendere qualcosa. Si ferma a pochi metri da me, si siede sulla sabbia infuocata asciugandosi la fronte dopo aver poggiato tutta la sua mercanzia. Una giovane mamma con una bambina, probabilmente sua figlia, si alza dal suo lettino e gli si avvicina, cominciando a curiosare tra la bigiotteria in cerca di qualcosa che la possa interessare. Il viso del giovane è diventato ora più rilassato, accenna persino un sorriso alla piccola. Nel frattempo gli si fanno incontro quattro ragazzi, tutti giovani, quasi sicuramente minorenni, anche loro apparentemente interessati alla sua merce. Tre di loro iniziano a maneggiare, prima con calma poi con fare arruffato, tutti gli articoli del povero vu cumprà, mentre il quarto comincia a giocherellare con i suoi cappelli, misurandoli tutti mettendoli in testa ai suoi tre amici, esibendo un ghigno a mo di sfida verso il povero immigrato, sulla bocca del quale, dopo un momento di stupore, sparisce il sorriso. Non appena la bambina, contenta per l’acquisto di un braccialetto rosso, si allontana insieme alla mamma, noto che il povero immigrato fa per rialzarsi, cercando di recuperare i cappelli che ancora giacciono sul capo dei tre ragazzi, ma quando il poveretto si avvicina, questi con uno scatto si allontanano di qualche metro, prendendosi burla di lui, che insiste silenzioso e infastidito nell’intento di recuperare la sua merce. Il tran tran sta andando avanti da qualche minuto quando la mamma della bambina si rivolge con voce severa ai quattro dicendo loro di lasciare in pace il poveretto e di andarsene. Insensibili alle parole della donna, i teppisti continuano a prendersi gioco del malcapitato, lanciandosi l’un l’altro l’ultimo cappello rimasto nelle loro mani. Finalmente la sensibilità di alcuni bagnanti si sveglia e volano rimproveri duri all’indirizzo dei quattro i quali, vista la mal parata, pensano bene di togliere il disturbo non prima di aver gettato il cappello addosso al poveretto e colpirlo con un violento pugno in faccia facendolo stramazzare sulla sabbia col naso insanguinato, allontanandosi poi rapidamente tra sdraio e ombrelloni gridando frasi razziste all’indirizzo degli immigrati e gente di colore. Il tutto è avvenuto all’improvviso, prendendo in contropiede i bagnanti presenti, i quali non hanno potuto far altro che assistere alla scena sorpresi e impotenti, convinti che quanto successo sia stato un piano ben organizzato e non casuale. Il povero “vu cumprà” giace ancora sanguinante e intontito sulla sabbia bollente, la sua mercanzia sparsa tutta intorno a lui, come intorno a lui si è raccolta una folla di bagnanti, solamente curiosi, dal momento che si guardano bene dall’aiutare il poveraccio in difficoltà. Solamente una manina, una piccola manina con un braccialetto rosso sbuca tra la folla, tiene stretto un bicchiere di coca cola. E’ la sua ultima cliente. Si avvicina al povero immigrato offrendogli la bevanda, per poi tornare rapidamente indietro e ricevere una carezza dalla sua mamma. Lo spettacolo è finito, la folla di curiosi man mano si dissolve tra sdraio e ombrelloni. Il povero immigrato, ripresosi dal colpo ricevuto a tradimento, raccoglie pian piano la sua merce cercando di sistemarla come meglio può, si avvicina poi alla bambina rimasta con la sua mamma ad osservarlo e, scelta una collana tra le più belle che ha, gliela mette orgogliosamente al collo, accompagnando questo gesto con un sincero “grazie”, ricevendo in cambio un innocente sorriso. Messa poi in spalla la sua merce, riprende il suo faticoso cammino, mentre la spiaggia ripiomba nel sordo silenzio dell’ora della siesta, interrotto dalle grida dei due bimbi che sul bagnasciuga ancora si litigano il secchiello.