Mi lanciai fuori da casa in una tiepida giornata di fine maggio. Sono sempre stato il più timoroso della famiglia, ma presi coraggio e saltai nella mia nuova vita. Avrei dovuto arrangiarmi da solo, da quel momento. Sentivo il vento in capo, la libertà era sconvolgente e spaventosa, ti rinchiudeva in una prigione di paure: come faceva a chiamarsi libertà un affare del genere! Numerose volte sentii il desiderio di ritornare al nido, ma non cedetti.
Ero pronto ad affrontare dure prove, principalmente per mangiare e trovarmi una nuova casa, ma non ero un tipo socievole. Ne scovai una piccola, di seconda mano, nei pressi del parco del paese: avrei mal sopportato di essere circondato dal cemento e dai tetti. Me ne stavo per i fatti miei senza prender parte ad eventi e raduni a cui mi chiamavano spesso. Avevo scelto una cittadina affacciata sul Garda e ne fui deliziato perché ogni mattina potevo recarmi sul lungolago a respirare un po’ di brezza e a farmi cullare dal tintinnio degli alberi delle vele ormeggiate. A me piaceva la solitudine, che non mi faceva fare brutte figure, non mi metteva in situazioni spiacevoli da gestire o controllare.
Le barche suonavano una melodia al ritmo delle onde sugli scogli. La battigia ed il molo che si addentrava come un braccio a U a delimitare il porticciolo erano ricoperti infatti da grossi massi cubici che davano l’idea di una scogliera. Le onde tentavano costantemente la loro arrampicata e tornavano indietro, con perseveranza incessante. Un altro tintinnare si sentiva sopra l'armonia di fondo, più nervoso e senza regola, quello dei cucchiaini dei “cappuccino e brioche” del chiosco. Un uomo, camicia arrotolata sugli avambracci e cintura di cuoio marrone, era solito sedersi su un tavolino defilato e si godeva due minuti e venti secondi di sole prima che arrivasse la sua tazza vicino a una rigonfia e zuccherosa prelibatezza. Arrivava sempre poco prima del suono lontano della campanella dell’edificio dove portava i suoi bambini. Un giorno lo vidi con loro, erano come lui ma più piccoli, con sacche pesanti in groppa ma passo veloce. Mi scoprii molto curioso della sua vita, così diversa dalla mia, perciò mi preparavo per tempo perché non volevo perdermi l’incontro con lui. Gli altri lo sapevano e così mi davano precedenza.
Volavo sull'angolo del tavolino al quale lui era seduto, dove mi lasciava di tanto in tanto una briciola della soffice pasta, e una volta acciuffata me ne scappavo con un forte battito d’ali che all’inizio lo faceva ritrarre di scatto, ma che in seguito non lo sorprendeva più. Anche io all’inizio mi avvicinavo soltanto furtivamente per il gusto dolce delle cose con cui si nutriva e che gradiva condividere con me, non riuscivo a farne a meno e ne volevo ancora, ma poi presi l’abitudine di soffermarmi sempre un po’ di più per osservare la magia: riusciva a muovere velocemente uno stecchino bianco con le sue due zampe superiori. In una portava un anello luccicante e teneva fermo un insieme di fogli, nell’altra sorreggeva quello stiletto creando tantissimi segni blu, a volte larghi, a volte stretti e fitti, che gli potevano causare una ruga profonda tra gli occhi oppure una mezzaluna dentata.
Quell’uomo aveva un’abilità straordinaria, i suoi pensieri correvano veloci, riuscivo a catturarne soltanto qualcuno. Forse era un animale così eccezionale per via dello zucchero che mangiava o forse per l’amaro che c’era nella tazzina, che una volta assaggiai restandone disgustato. Col passare dei giorni compresi che lui si chiamava uomo, bambini quelli che portava nell’edificio con la campanella, moglie quella alta come lui, che aveva gli occhi più grandi e sempre tante cose in mano. Faceva anche un verso dal suono più delicato ma continuo, si fermava soltanto quando lui la cingeva con quella zampa che tanto aveva turbinato prima sul foglio e le metteva il becco morbido sul suo, che era più rosso e carnoso.
Allora si separavano, così io, che appartenevo ai passeri, volavo via, nella mia vita. La solitudine non era più la mia migliore amica: sentivo un sentimento nuovo, che mi metteva di buonumore, che mi rendeva impaziente che arrivasse il mattino successivo per il mio appuntamento con quell’animale così diverso da me, per scoprire qualcosa di nuovo ed apprendere un altro pezzettino del mondo degli uomini.