Il 1958 per Esaù fu un anno di svolta.
Compiva quarant’anni (età all’epoca considerata piuttosto insolita per uno scapolo), ma il problema era ben altro.
Il nostro eroe, assolutamente refrattario a legami sentimentali e ancor più alla famiglia, era tuttavia attratto dal gentil sesso.
Il che non aveva costituito un problema, dato che esistevano le case di tolleranza di cui lui era assiduo frequentatore fin dai diciotto anni.
Ma quell’anno accadde un evento davvero funesto dal suo punto di vista: la legge Merlin impose la chiusura dei postriboli statali.
Ora, si potrà dire, qualche signorina disponibile dietro congruo compenso avrebbe potuto trovarla… Ma lui no, voleva essere garantito dallo stato sull’igiene e la regolarità della cosa.
Attraversò una fase di negazione in cui sperava che la faccenda fosse provvisoria e un giorno non lontano l’ameno villino avrebbe riaperto. Si sfogava con Alfredo il quale, però, non riusciva a capirlo fino in fondo dato che aveva sempre avuto gratuitamente l’attenzione delle donne.
La fase successiva fu di sconforto. Quella brava donna (non diceva così) della Merlin aveva fatto un bel danno, togliendo a lui e a molti altri la piacevole e transitoria compagnia delle “ragazze”.
Una volta passato il momento di dolore acuto, entrò nella terza fase: la ricerca della soluzione. Andò a Livorno a consultarsi con il fratello, marito e padre da oltre dieci anni.
La conclusione fu che era il momento di prendere moglie. Tutto sommato Guido non si trovava male, sua cognata era gentile e anche i bambini, in fin dei conti, si potevano sopportare. Era la prima volta che Esaù si confrontava con questa prospettiva. I neonati gli avevano sempre fatto un po’ impressione, le responsabilità molto di più. Ma ora, dopo la chiusura del villino…
Così cominciò a guardare il mondo con altri occhi e capì che era anche il caso di lasciare la camera in affitto da un’anziana coppia e cercare casa e moglie. Anzi, prima moglie che casa, dato che non aveva proprio idea di come si potessero gestire né la prima né la seconda, ma la casa senza moglie era impensabile e così pure la moglie senza casa.
Ora il punto era: come trovare la donna da sposare. Dove. Quando. Lui non era brutto e neanche povero, ma non sapeva nulla di tutto ciò.
La questione si risolse in modo impensato.
C’era una merceria dove comprava mutande e calzini che aveva una commessa sulla trentina, né bella né brutta, lievemente strabica e di poche parole. Esaù, mentre comprava le mutande (boxer bianchi con apertura anteriore) ebbe un flash. “Signorina”, e lei, professionale: “Mi dica”
“Come si chiama?”
“Clara” rispose lei arrossendo.
“Ecco, signorina Clara, lei è fidanzata?”
“No”- lei ormai paonazza.
“Le piacerebbe fidanzarsi e sposarsi con me?”.
La giovane sgranò gli occhi e il sinistro strabico andò completamente in trasferta. Rimase muta con le mutande in mano.
“Facciamo così, ci pensi, domani torno e mi dà la risposta”.
Raccontò quanto accaduto ad Alfredo che rise di cuore e si offrì di accompagnarlo il giorno dopo per assistere al seguito.
Il pomeriggio successivo Esaù tornò alla merceria insieme a mio zio.
Clara era leggermente truccata e indossava un leggiadro golfino rosa cipria.
“Buonasera, signorina Clara. Ci ha pensato?”
“Sì, signor Esaù, ci ho pensato e sono d’accordo. Però non so come dirlo ai miei”
“Non c’è problema, glielo dico io. Stasera alla chiusura del negozio l’accompagno dai suoi genitori”.
Così, un paio d’ore dopo, Clara, Esaù e Alfredo si recarono dagli ignari coniugi. Erano persone semplici ma molto educate e rimasero esterrefatti dalla richiesta improvvisa, ma soprattutto allibiti quando Esaù spiegò come l’urgenza del matrimonio dipendesse dalla chiusura delle case di tolleranza. Il padre della ragazza (tra l’altro socialista ed estimatore della Merlin) si inalberò: “Giovanotto, lei è uno scostumato! E non do il mio consenso!”.
Clara si mise a piangere, mentre Esaù non capiva.
Andò via umiliato e quando Alfredo gli spiegò che non era quello il modo di fare una domanda di matrimonio, disse che qui la gente la faceva troppo lunga e il babbo di Clara doveva essere per la Merlin.
Comunque, ormai l’amore era scoppiato e due giorni dopo Esaù e Clara fuggirono in Vespa (perché lui non aveva l’automobile) e trascorsero una notte in albergo a Follonica. Dopo questo scandalo, pensate un po’, il consenso fu inevitabile.
I due si sposarono in fretta e furia e andarono ad abitare nell’appartamento che i genitori di Esaù (entusiasti del fatto che qualcuna si fosse accollato il figlio) comprarono immediatamente.
Nonostante le premesse un po’ particolari, la vita matrimoniale fu lunga e felice, nonché allietata dalla nascita di due bambini, maschio e femmina, a cui furono imposti i nomi di Alfredo (testimone di nozze) e Lina (come la Merlin, dato che, se non ci fosse stata lei, nulla di tutto ciò sarebbe avvenuto).
In conclusione: tutto è bene ciò che finisce bene, l’ha detto qualcuno che scriveva molto meglio di me.
FINE