Si svolgeva così, a Napoli. Quando dei genitori volevano stare un po’ per i fatti loro, ovverossia più esplicitamente in intimità, mandavano i figli, più piccoli, dal salumiere o dal droghiere a comprare un po’ di “tozza a bancone” (sarebbe a dire sbatti la testa nel bancone). I “fornitori” già sapevano di cosa si trattava e, per eseguire la richiesta dei ragazzini, avvolgevano in carta piccoli estratti o pezzettini di cibo o qualcosa di simile, sicuramente molto leggero, ed effettuavano le consegne. Per il pagamento o corrispettivo sarebbero passati, in seguito genitori o parenti dei “guagliuncielli”.
Fin qua ci siamo, tutto si svolgeva secondo un copione popolare. Però, e c’è sempre un però ed anche un ma, per non far sentire trascurato questo ma, come diceva un tale, ci fu qualcuno che diversi anni fa prese spunto da questa usanza, ne cambiò lo svolgimento e la fece funzionare a più riprese, finalizzandola ad ottenere un proprio divertimento non privo di un certo “sadismo”.
Custantino, un solitario, scapolone solitario ultraquarantenne, strambo ed alquanto “scemenuto”, frequentava spesso un bar chiamato “Mexico-Napoli” allocato in una zona periferica della città partenopea. Pasquale e Giovanni, i barman, e Rosaria, la cassiera del locale, “ ‘o sapevano comme a tre ‘e renare” oppure, a preferenza, “’o sapevano pilo pilo” (lo conoscevano molto bene) e avevano escogitato una sorta di gioco, non molto lontano da “un piccolo massacro” per mettere alla prova il tale soggetto Custantino. Sapendo che a lui non dispiaceva affatto prendere un caffè ed un cornetto o una pastarella o una graffa o altro di simile “aggratis” , ogni volta che si presentava per consumare i tre lo invitavano a compiere la stessa operazione abbastanza “pesantuccia” e perfino “dolorosetta”. Dopo averlo fatto avvicinare, Pasquale o Giovanni, uno dei due come capitava, gli dicevano:
“Custanti’, hea ricere sempe ‘Rateme ‘o ccafè e ‘o cornetto, o a pastarella o ‘a graffa, comme vuo’ tu’ , tozzo putente ‘a capa a bancone tre vvote e ripeto ripetutamente po’ po’ po’-è pe’ me è pe’ me è pe’ me!” Mentre Rosaria lo incitava a voce alta esprimendo un “Vai facile, Custanti’, si’ ‘o masto!”, l’uomo compiva il rituale verbale e gestuale. Qualche volta i barman lo incitavano a dare colpi più forti, ‘Nun fa niente si siente ‘o ppoco ‘e dulore, ralle ralle ‘ncapa!’ , oppure lo lasciavano fare con azioni meno intense. L’uomo cercava di eseguire al meglio il compito, non gli mancava pure un’espressione “beata ed incosciente” in volto. Alla fine dell’operazione, una volta su cinque o sei, gli elargivano la consumazione libera, mentre nelle altre circostanze Pasquale e Giovanni gli comunicavano : “’O prossimo giro, Custanti’, ogge niente, acqua ‘a pippa, hea pava’ si vuo’ magna’.” La cassiera Rosaria lo “coccolava”: ”Forza e curaggio, Custantino mio, comme frnesce frnesce si’ sempe ‘o nummero uno!” “’O sciabulione” o “suggettone”, come si vuole”, dopo aver scelto sempre e immancabilmente il “senza spesa”, metteva tutto in bocca, si faceva una risatella di soddisfazione, toccava non di rado la fronte, faceva una piccola smorfia contenuta di sofferenza e usciva, pure barcollando, dal locale. I clienti e gli avventori più occasionali presenti, e soprattutto quelli che conoscevano meglio lo stratagemma, in accompagnamento lo applaudivano e gli lanciavano in coro voci di ‘Bravo bravo! Staa bbene! Accussì Accussì!’
Carlo Giarletta