Nascosto nell’immensa distesa di verde del Bois de Boulogne, a Parigi, sto andando a Bagatelle per assistere al cambio delle stagioni, al lento spogliarello degli alberi…. già ne ne assaggio i primi annunci nei profumi più intensi della terra.
Ogni settimana ecco una nota nuova nel concerto di colori e nella sinfonia di sfumature che abitano questo luogo magico. Sono le foglie oggi che cadono a pioggia, con una grazia stanca, abbandonate all’umore del vento. Hanno il suono leggero di un sospiro appena abbozzato, di un’allegra rassegnazione: “E anche questa è fatta!”
Come vorrei anch’io andarmene così !
Tutto si compie a tempo e a modo. Le cose vanno dove devono andare e stanno dove devono stare.
I cedri del Libano aspettano, argentati, il loro momento, quando veglieranno, nella loro maestosa bellezza, sulla natura spoglia e addormentata.
Seduta su una panchina sono circondata a intervalli da una leggera pioggia di foglie la cui musica discreta lascia presagire un avvenimento fuori dall’ordinario: prima di cadere al suolo si fanno ancora una volta baciare dal sole, scherzano fino all’ultimo con i suoi raggi in un gioco amoroso e piroettano allegre nell’aria prima di abbandonarsi, con voluttà, al suolo e al loro destino. Sembra quasi, cadendo, che non abbiano rimpianti. Oh, come vorrei anch’io andarmene così…..
Le ritrovo poi dappertutto, sotto i miei passi, croccanti come patatine e, solo una settimana più tardi, più pesanti al contatto col suolo, accompagnano con mollezza l’incontro del mio piede con la terra.
Ma il 30 dicembre dell’anno scorso ho ritrovato il parco nudo, crudo. L’acqua degli stagni con una leggera crosta di ghiaccio. Dappertutto un’aria di circostanza, quasi una veglia funebre. Non c’è più niente da dire. Non c’è più niente da dare. I gatti si nascondono. I pavoni sono scomparsi. Inutile attardarsi. I passi si fanno più svelti, i rumori più cauti, gli sguardi più discreti. Persino i cedri del Libano hanno un’aria modesta, peccato, li credevo più civettuoli.
Come passo il cancello, sono avviluppata, mio malgrado, in una coltre di sonno, di fredda indifferenza. Circolare! Circolare! Non c’è più niente da vedere! Non distinguo più gli alberi, solo linee che si intrecciano, si rincorrono, si accavallano, si perdono di nuovo, si ricongiungono, si separano e si ritrovano. Mi guardo, prima di uscire: anch’io mi sento spoglia. E chiedo scusa di essere importuna.