Eccolo! Ora riusciva a vederlo, laggiù, oltre la collina dei quattro arcobaleni, il laghetto incastonato come prezioso gioiello tra rocce di spumoso calcare che rendevano le sue acque limpide come lacrime di fata.
Era tutto come quando lo aveva lasciato, migrando altrove.
Alcuni cespugli dagli odorosi fiori variopinti e piante di ligustro giallo verde lo contornavano come ciglia. Un occhio di cielo che osservava se stesso. Poco lontano, la chioma di un salice millenario che lo aveva protetto da ogni malattia era ancora più maestosa di quanto la ricordasse.
Era un anatrocchiolo marrone dal piumaggio bruno arruffato con sfumature verdi che dal becco gli contornavano gli occhi e le piume inferiori delle ali, quando era partito. Ora era un muscoloso adulto, all'apparenza, ma sempre un buffo anatrocchiolo nell'intimo e, a volte, un vecchio bizzoso soldato in pensione al quale non rimanevano che i ricordi di una vita avventurosa. Planò sulla superficie dell'acqua cercando sua madre, colei che vide per prima volta dopo la rottura del guscio: una splendida trota dalla livrea verde e bruna con scaglie dorate e due sfumature arancioni sui fianchi picchettati da puntini neri che regnava sovrana nella limpidezza di quelle acque.
Quel pesce gli aveva insegnato tutto ciò che sapeva dell'acqua e del nuoto, ma non cosa fosse l’uropigio e a camminare.
Quando usciva dall'acqua tutto inzuppato, il suo incedere era goffo e buffo, non riusciva ad adattarsi a quei piedi arancioni simili alle ali rigide delle farfalle astronautiche, ingombranti e ridicoli.
Durante le nuotate, la sua mamma gli raccontava storie di incredibili pesci volanti che sfidavano le libellule in velocità e di salmoni giganti che dal mare risalivano le correnti impetuose sfidando la fame degli orsi, di papere affascinanti ed eleganti come cigni, di oche chiacchierone e di uccelli dal becco a sega sterminatori di pesci. Romanzi amorosi e tragedie sanguinarie che lui ascoltava, a volte incantato, a volte impaurito, spesso incuriosito, remigando al suo fianco e, quando si immergeva in apnea, si disturbava un gambero fantasma che riordinava il proprio castello di ciottoli che fingeva di arrabbiarsi divertito.
Fu lei a riconoscerlo e salì in superficie boccheggiandogli intorno, baciandolo come quando era piccolo. Lui chinò il becco in acqua godendosi quelle coccole.
“Raccontami!” gli chiese.
“Madre mia, ho vissuto tutte le emozioni che tu mi raccontavi. Ho amato, tradito, odiato, combattuto, sono stato tradito, vincitore e vinto. Mi sono ubriacato, ho rubato, sono stato punito. Ho percorso tutte le sfumature della felicità e quelle della tristezza. Mi sono smarrito…” - abbassò lo sguardo sul petto e proseguì - “Un amore mi ha bucato con un colpo di stocco la consapevolezza di essere un anatrocchiolo figlio di una trota, regina del lago, con poteri e qualità singolari: figlio della terra, adottato dall'acqua. Gli ho permesso di sottrarmi la vitalità perché di questa si riempiva le sue bocche, con mio gorgogliante piacere. Io ero un racconto per ingannare il tempo, da sfogliare con i suoi simili. Era bravo sai a mescere pozioni con i nostri umori. Un giorno decisi che più non l'avrei né saziato né dissetato per evitare che io stesso potessi scomparire per inedia ovvero arsura. Non si può nutrire chi inghiotte ogni emozione e poi le vomita a terra senza accortezza alcuna. In quella poltiglia c’ero io. Ma ora mi manco. Mi manco io, le sensazioni che mi scorrevano dentro mentre lo nutrivo e dissetavo e lì vorrei tornare”.
“Fermati!” - lo interruppe - “Non puoi, non devi ritenere il passato il luogo di arrivo, esso è solo un punto di partenza cui dedicare le nostre emozioni al fine di conferire al nostro vivere una forma compatta. Non comportarti come me. Io non sono la tua madre adottiva. Sono tua madre. Dopo la morte di tuo padre, il dolore del ritorno mi ha trasfigurato: le ali son divenute pinne e i polmoni branchie per poter vivere per sempre nel lago della felicità perduta. Confinata nel mio dolore liquido del non essere né nel presente né nel futuro”.
L’anatrocchiolo si immerse e raggiunse il vecchio gambero che lo salutò agitando le tozze chele bianche.
I polmoni non reggevano più e si spinse in superficie per respirare l'aria del presente che divenne del futuro.
Dopo il saluto a sua madre.