Molte le storie che di Giufà si narrano in Sicilia. Tanti tra voi ne avranno sentito parlare come di un ragazzo dal cuore grande, ma poco accorto, distratto, forse addirittura ritardato. Eppure si racconta anche di come Giufà seppe ribaltare questa fama e giunse a essere considerato un grande saggio. Vediamo come questo avvenne.
Avendo sentito di come Giufà fosse divenuto assennato e ricordando ancora dei pasticci che aveva combinato, il Re incaricò tre uomini, monaci famosi per la loro sapienza, di metterlo alla prova. Giufà si presentò ai saggi con il suo asino e salutò con un’affettata riverenza.
«Giufà, ci dicono che sei diventato saggio» disse uno dei tre. «…se fosse vero, sapresti certamente dirci dove si trova il centro della terra».
«Certamente», rispose pronto Giufà. «Si trova esattamente sotto lo zoccolo posteriore destro del mio asino».
«Non ti aspetterai che ti crediamo così, sulla parola».
«Certo che no. Scavate proprio sotto, lì, e vedrete da voi».
«Adesso non abbiamo tempo per scavare», fece il secondo monaco. «Dicci piuttosto quante sono le stelle del firmamento».
«Le ho contate con attenzione» disse Giufà. «Sono esattamente tante quanti sono i peli del mio asino. Se non ci credete contate anche voi, le stelle e i peli dell’asino».
I tre uomini si congratularono con Giufà per l’arguzia con la quale egli aveva eluso le domande e riferirono al Re che soltanto un uomo veramente saggio poteva essere così intelligente da dare risposte che mai avrebbero potuto essere smentite. Compiaciuto della cosa, il Re nominò Giufà giudice del regno.
Un giorno capitò che due uomini avessero una lite e si rivolsero al giudice perché risolvesse la questione. Seduto dietro un tavolino, Giufà li fece accomodare e disse:
«Di cosa si tratta? Raccontatemi tutto per filo e per segno».
Il primo uomo, un macellaio grasso e rubizzo, indicando l’altro, cominciò:
«Quest’uomo mi ha derubato. Ha fatto insaporire una fetta di pane vicino al braciere dove cucinavo la carne per i miei clienti. Poi è andato via senza pagarmi, con il profumo della carne sul suo pane. Mi deve quattro tarì».
«E tu, cosa hai da dire in tua discolpa?», disse il giudice al secondo uomo, un vecchio pallido e smunto.
«Nulla, eccellenza. Giù in strada, ho sentito l’odore dell’arrosto che il macellaio stava preparando. Voleva quattro tarì per un pezzo di carne e io non li avevo. Con un tarì, ho comprato invece dal panettiere un pezzo di pane e ho rubato il fumo dell’arrosto…».
«Basta così, sei reo confesso», lo interruppe il giudice. Aperta la borsa che teneva legata al fianco, Giufà trasse quattro monete e le fece tintinnare sul tavolo.
«Fermo!», disse Giufà rivolto al macellaio, quando questi si avvicinò per prendere le monete. «Quest’uomo si è accontentato del profumo della tua carne. A te basterà sentire il tintinnio delle monete».