Venezia. 

Dopo il tramonto l'angelo non parla mai.

Io posso lanciare le briciole al vento, che se le mangino i piccioni. 

Ho una notte intera per stirarmi le ossa sul materasso, imprimermi nella memoria ogni particolare della fotografia. Nessun errore. Data dell'arrivo, domani. Raggiungerà l'albergo in gondola. Posso riflettere, sonnecchiare, fare appello all'immaginario senza che l'angelo arrivi a martellarmi con le sue domande, a ripetizione. 

Che è un angelo lo dice lui, da quando avevo cinque anni e venne a dirmi che non sarei più stato solo. Mi ero perso nel bosco, dietro casa, mentre inseguivo un coniglio selvatico perché volevo fotografarlo con la mia polaroid. Mia madre mi cercò soltanto il giorno a venire, dopo aver smaltito la bottiglia di vodka. Restai vicino al tronco di una quercia a scrutare le ombre tutta la notte. Nessuno a gridare Raaalph…, il mio nome tra gli alberi, come se di me importasse solo al bosco.  All'alba era arrivato lui a dirmi “sono il tuo Angelo, non avere paura”. Non lo vidi in carne ed ossa, gli angeli non ne hanno. Lo sentii parlare con una voce di bambino. 

 


Mi alzo. Un giorno nuovo sopra le gondole. Non posso più guardarle. Vanno troppo lente.


Quando il sole torna, lui non perde tempo a mostrarsi. 

 

«Che fai allo spiraglio della finestra?»

 

E' appena arrivato, non rispondo. E' uno specialista a cambiare argomento.


«Hai sentito la tv? arrivano in massa, disperati che urlano un sos. Tu lo senti Ralph quel grido?» 


«Sudo, fa troppo caldo. No, non lo sento. E poi sono impegnato.»


«A che fare?»


«A guardarti in faccia, a vedere il tuo viso.»


L'angelo ride a crepapelle. «Il mio è un viso come un altro. Vorresti dire che riesci a vedermi, Ralph?»

 

Ci penso su.
 

«Sì, dopo ti scatto una fotografia. Hai delle rughe sottili intorno agli occhi, sembrano di ghiaccio e tengono sul fondo la fissità dei pensieri; gli angoli della bocca appena sollevati, labbra carnose; no, non è un volto come tanti altri.»


«Ti sbagli Ralph, dovresti guardare bene. E dovresti anche ascoltare meglio il grido delle carni ammassate sopra i gommoni alla deriva, dovresti ascoltarlo.»


«Verranno a mangiarselo i pescecani quel grido. Ho da fare angelo. Non mi distrarre o perdo la concentrazione.»



Sulla laguna. C'è una bambina.


La vedo. Si muove verso la gondola, aspetta che si avvicini al molo, un uomo grosso come un gorilla le ha lasciato la mano. E' piccola, trecce bionde che sbucano da sotto un cappello a righe, calzette bianche. Lancia un risolino stridulo che taglia in due l'aria.


«Fa caldo angelo e sto sudando come un maiale, pensavo che da oggi in poi non ti darò più da bere, così la lingua ti si seccherà, una volta per tutte.»


«E' il sole. Sudi per via dell'afa. Dicevamo? Ah, sì il grido, io lo sento è un sos che mi chiama, non posso farci niente. Ecco perché non ti riesce vivere Ralph e fai questo mestiere del cazzo, perché non senti quel grido. Ti manca la sensibilità umana.»


«Sta' un po' zitto ora angelo, tappati quella bocca di cannone per un secondo, ho bisogno di concentrazione.»


«Sì, sì... alla tv dicono che ci sarà "un assalto" di nordafricani.»


«Assalto, parola del cazzo. Fa pensare ai predoni e alle pance aperte come meloni. Fa pensare all'aria che ti viene a mancare, alla pelle che scivola addosso ad altra pelle. Non ce la faccio più a sentirti, angelo. Ho il senso di soffocamento.» 


«Ralph, sei impazzito come un uovo sbattuto male.»


«La mia è solo paura.»

 

«Giusto. La paura. Da quella volta dentro al bosco. Poi sono arrivato io.»

 

«Potrei chiedergli questo, "hai mai avuto paura?".»


«A chi scusa?!»


«A Dio, quando lo trovo.» 



Allungo la pistola nello spiraglio, una magra visuale di meno di dieci centimetri, la mano è ferma, c'è solo da restare immobili. Attendere il momento in cui la gondola sarà ferma e lei sarà nel centro del mio occhio graduato. Mi hanno pagato per farlo. Che abbia più o meno dieci anni non ha importanza. E' figlia di Spezzaossa, che ha dirottato il carico di cocaina al San Basilio, lo ha pure gestito con vanteria, senza passare a chiedere il permesso a 'o Pazzo. Di peggio è che è andato a sparger voce che ora lì comandava lui.


Un'ultima occasione per girarmi e guardare. L'angelo sta ancora appresso a me, lo percepisco. 

La palpebra sbatte in velocità, cercando qualcosa giù, oltre la stanza, nei riflessi sull'acqua. Non ho più tempo, trenta secondi, forse meno. La canna è ancora fredda. I rivoli di sudore mi colano sugli occhi. Una, due, tre volte. 



«E' scivolata via, sul canale. Mi hai messo fretta, dovevi stare zitto!»


«Di chi parli, Ralph?»


«La bambina...è scivolata via, non me ne sono accorto. Ho perso il bersaglio.»


«Dio, allora, esiste davvero...»

 

Tra due ore 'o Pazzo chiamerà.


I miei occhi si sollevano sconfinando la paura, cerco quel bastardo saputello nelle pareti della stanza, lo trovo nell'unico luogo degno del suo narcisismo, dentro la cornice dello specchio. Ora sta zitto, mi guarda, forse aspetta che io dica qualcosa. Suda come me. Girò la bocca della Walther 9mm, gliela punto alla tempia e prima che parli di nuovo lo rimando in braccio ai santi.

Dalla laguna si alza la nebbia, densa come un muro. 

 

Entra nella stanza. Porta con sé il freddo e il profumo del bosco.

 

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