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Il vento gelido non accennava a voler cessare la sua furia, ma si accaniva su Ryan sferzandogli il volto e impedendogli di vedere nulla che non fossero i turbinanti fiocchi di neve della bufera. Piccoli cristalli di ghiaccio si formavano sulla sua barba incolta e i suoi caldi occhi castani cercavano disperatamente l'appiglio successivo. L'uomo strinse i denti e piantò per l'ennesima volta il paletto nella parete diroccia e ghiaccio a cui aveva affidato la sua vita. La tormenta lo aveva colto impreparato, troppo lontano per tornare allo sperone di roccia dove aveva passato la notte, ma non abbastanza vicino ad un altro posto dove sostare. Tutto ciò che poteva fare era continuare la scalata sperando di trovarne presto un altro, ma questo non accadde. La tempesta aumentò di intensità e Ryan era ormai allo stremo delle forze, aveva perso la sensibilità alle estremità e questo rendeva la scalata ancora più difficoltosa. Gli sembrava che il freddo si fosse insinuato nelle sue ossa e avesse cominciato a congelarlo dall'interno, sentiva la carne rigida urlare di dolore mentre il sangue, simile ad azoto liquido, scorrendo nelle vene bruciava e congelava allo stesso tempo ogni capillare del suo corpo. Fu a quel punto che, dilaniato dal freddo bruciante e sopraffatto dalla disperazione, Ryan decise di arrendersi. Mentre si manteneva aggrappato a quella parete con ogni fibra del suo essere capì che non aveva motivo di continuare a farlo. Quando la comprensione lo colpì, l'uomo visse uno shock. La cosa che più lo scosse, paralizzandolo dallo stupore, fu rendersi conto della relatività della vita. In quel momento, in quel luogo, lui era mortale, effimero. Era inutile. Si chiese che senso avesse la sua esistenza. Non aveva fatto nulla di grande, nulla di buono, e poi, a che fine? Che differenza avrebbe fatto? Era giunta la fine di un' inutile recita, una lunga rappresentazione senza spettatori. Era dunque questo lo scopo? Esistenza fine a se stessa? Quale scellerata divinità avrebbe voluto questo? Ripensando a tutte le domeniche passate in chiesa, Ryan si rese conto che anche quello era solo un atto della grande farsa. Stava per morire, ma non ci sarebbe stato nulla ad aspettarlo, niente paradiso o inferno, solo un eterno sonno senza sogni. Nell'esatto momento in cui quel concetto fu chiaro nella sua mente, Ryan si lasciò cadere e per un attimo ci fu solo silenzio. All'uomo però sembrò un'ora, un giorno, un anno della sua vita. L'eternità era in quell'attimo. Poi svenne. Aprì gli occhi all'improvviso e cercò di respirare, ma l'aria fredda gelò i suoi polmoni e Ryan cominciò a tossire, scosso da spasmi e tremori. Quando riuscì a respirare normalmente, si ricordò dell'accaduto. Cosa gli era successo? Era già morto o stava ancora cadendo? Sentiva il freddo accarezzargli l'anima e tutto ciò che riusciva a vedere era l'oscurità più assoluta. La paura e il panico si impossessarono di lui, ma poi la vide. Era piccola e lontana, ma sopra di lui una luce risplendeva e gli sembrava la più bella cosa al mondo. Poi, all'improvviso, ne vide un'altra. Era sempre stata lì, come aveva fatto a non notarla? D'un tratto milioni di luci si palesarono ai suoi occhi e, mentre piangeva dalla gioia sullo sperone dov'era finito, Ryan capì che erano stelle. Dopotutto forse un dio esisteva. "Allora dottore, cosa ne pensa?" Gli occhi verdi della donna scrutarono con sincera curiosità il terapista che le sedeva di fronte. L'uomo sospirò divertito e rispose con una nota di rassegnazione nella voce: "Devo ammettere che quando mi ha detto di aver fatto un viaggio mi aspettavo un altro genere di esperienza..." "Magari non sarà stato un viaggio tradizionale, ma era davvero un bel libro e finchè avrò la libreria piena non avrò bisogno di uscire di casa." rispose lei, con una certa aria di sfida. Un altro sospiro più rassegnato tradì i pensieri del terapista. "Ma non ha davvero visto quei monti! Non piacerebbe anche a lei sentire l'aria fredda sul viso e ammirare le vette innevate? Questo è viaggiare! " "Ma io ho visto quelle vette! Ho respirato quell'aria e non solo. Ho avuto una crisi religiosa, mi sono sentita inutile come il protagonista, sola e abbandonata su questa terra. Mi sono arresa alla mia mortalità solo per capire che forse non siamo poi così soli e che a volte persino i miracoli accadono. Non guarderò mai più le stelle allo stesso modo e questo, dottore, tutto questo è un libro, il miglior viaggio che si possa fare." L'uomo sorrise, guardò l'orologio e si dispiacque davvero di aver esaurito il tempo. "Va bene allora, la prossima seduta ricominciamo da quì, magari con un po' meno poesia, d'accordo? Si ricordi di prendere le pillole, è difficile sconfiggere l'agorafobia solo con la terapia." E così dicendo si avviò verso la porta della casa dell'unica paziente che visitava a domicilio.
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Utente Anonimo
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