Ero uscito dall'ospedale per fumarmi una sigaretta. In quel periodo fumavo davvero come un turco e, benché ci avessi provato, non riuscivo proprio a diminuire le dosi. Troppo stress, troppi pensieri. Balenavano nella mia testa come fossi nell'occhio del ciclone, e tutt'attorno a me, incasinandosi con la forza di un uragano.
La tirai fuori dal pacchetto e l'accesi con gesto naturale di chi fuma da anni.
Poco dopo aver iniziato a fumare, avvertì la presenza di qualcuno che mi arrivava alle spalle; mi voltai con fare disinvolto.
Un anziano uomo. Su una sedia a rotelle. Aveva perso una gamba; non aveva capelli, né ciglia o sopracciglia, barba o qualsiasi forma di peluria. Era vestito di un camice ospedaliero che si afflosciava all'altezza della gamba monca. Faceva un po' pena.
Mi rivolse la parola con una voce roca, sofferta.
“Ehi, giovanotto, hai una sigaretta per un povero vecchio?”
Io gli rivolsi uno sguardo accusatorio.
“Non stai abbastanza male senza fumare?”
“E che me ne frega, giovanotto? Qui va tutto in malora...”
“Tu già vivi l'inferno tutti i giorni, no? Perché dovresti farti ulteriormente male fumando?”
“Già, l'inferno... Dammi questa sigaretta e sta zitto va...”
Gliela porsi, senza dir nulla, nonostante la sua maleducazione. Non riuscivo ad adirarmi con qualcuno che era già ridotto a quello stato.
Poi, poco dopo, riprese.
“...Già, l'inferno. La vita è un inferno. La malattia è un inferno; combatti tutti i giorni come un forsennato per strappare le ventiquattrore successive, a suon di chemioterapia, fra sofferenze atroce ed effetti collaterali che ti fanno sentire come un pupazzo imbottito di chimica, una cavia da laboratorio...”
Gli accesi la sigaretta e ne trasse una boccata.
“...Poi ci sono i parenti, sai? Belle facce di culo. Vengono a trovarti con un visino dolce ed angelico, della serie 'ci saremo sempre per te'. Già, ci saranno sempre loro. Finché avranno un'eredità da guadagnarci alla mia morte, ci saranno sempre...”
Tacqui, senza nulla da ribattere. Continuai a fumare.
“...Ed infine, i dottori. 'Abbiamo trovato una nuova cura, abbiamo trovato una soluzione!'. Già, loro si che sono davvero l'incarnazione del diavolo...”
Non capì.
“E come mai i dottori dovrebbero essere il diavolo? Cercano di curarti, no?”
“No. Io non ce la faccio più. Un altro Einstein, un altro genio di turno che viene a trovarmi una cura, a darmi una speranza. E poi? E poi niente. Abbiamo sbagliato tutto, sei di nuovo condannato. Ci dispiace tanto.
Toccare la salvezza per poi essere riassorbiti dalla disperazione.
No, ragazzo.
Meglio la morte.”
Tacqui, annuì. Voltò la sedia a rotelle e se ne andò. Non lo vidi mai più.
Anni dopo, quando mi ammalai di cancro ai polmoni a causa del troppo fumo, compresi quel che mi voleva dire.
Di tanto in tanto, durante la mia degenza ospedaliera, compariva qualche bellimbusto con una cura miracolosa tirata fuori di chissà dove. Io ci ho creduto per le prime due volte, ma alla terza non ci ho creduto più.
Troppo. Troppo tremendo. Troppo dolore.
La speranza è sempre l'ultima a morire, ma perderla uccide più d'ogni cosa.