Capitolo 1 - Scene da un matrimonio
Un prato, bambini che giocano, caldo, un sole cocente mi pervade, un tuffo nel laghetto ci vuole… questo punto è profondo, mi sento male, non respiro, annaspo, cerco di portare la testa fuori! Non ci riesco! MUOIO!!!!!!
Mi alzo e sbatto la testa, era solo un maledetto sogno diventato incubo, il coperchio della bara mi ha lasciato sicuramente un segno.
Ricordi di una vita mai vissuta, queste visioni provengono da libri letti.
Non rimpiango una vita così inutile, però ogni tanto…
Sbircio fuori, la bara di Ludmilla è chiusa, dorme ancora, meno male, salto fuori e vado nel salone.
Meno male, non mi va proprio di far fronte ai miei doveri coniugali sempre uguali da centinaia d’anni, senza passione, senza amore.
Ci sono i miei schiavi e schiave, tutti immobili.
Li studio.
«Constantin, perché sei qui? Tu devi proteggere il nostro sonno, devi girare continuamente per la tenuta, non voglio correre il rischio di svegliarmi di giorno sotto un sole cocente ed un esagitato che mi minaccia con un paletto appuntito».
«L’ho fatto padrone, oggi ho catturato una ragazza che si era avvicinata troppo, adesso si sta trasformando, è ancora semi mortale».
«Bravo puoi continuare, vai!»
Con un cenno d’assenso ed un inchino si allontana, mi fido di lui, è l’unico simil-vampiro del gruppo, guardo gli altri e spiego i loro compiti per oggi. Bene, è tutto a posto, faccio un cenno a Svetlana, la mia ancella preferita, ci trasformiamo ed insieme voliamo via.
Cerco il mio obiettivo, cibo! Devo spingermi sempre più lontano, in una nazione sempre più spopolata, tra pillola, preservativi, spirali, rapporti contro natura, rapporti orali, coiti interrotti, ormai c’è poca natalità, i bambini sono rari, il terzo millennio inizia male, dopo neanche vent’anni già lo odio.
Svetty mi segue senza prendere iniziative… al contrario di mia moglie, la rompiballe! Quant’è bella però, sempre ossequiente e devota la mia schiavetta.
Ecco! Ci siamo! Un delinquente sta cercando di entrare in un negozietto, una fatica immane per aprire la serranda col piede di porco, annuso il suo sangue affaticato da oltre cinquanta metri di distanza.
Ci trasformiamo di nuovo, da pipistrelli torniamo umani. Faccio un cenno alla ragazza che agguanta l’uomo e lo rovescia in terra, inizio a bere dal suo collo finché quello smette di resistere, ormai morto.
Ora può bere anche lei mentre le alzo la gonna ed entro nel suo corpo freddo, riscaldato dal sangue appena ingoiato, i due bisogni primari soddisfatti quasi nello stesso momento. I piccoli piaceri della non-morte.
Rientriamo, ora sono sazio, posso anche affrontare mia moglie.
«Quella zoccola è ancora qui?»
Appunto, mi aspettava!
«È la mia assistente personale, una semplice segretaria, perché ne sei gelosa?»
«Perché sono almeno cento anni che ti chiedo di eliminarla, ora lo faccio io!»
«Non ha fatto nulla per meritarlo».
«Lei non ha fatto nulla, hai ragione, era solo un bel contenitore per il tuo sperma, ecco perché non hai più voglia di farlo con me, sei già sazio, non stanco!»
«Stai vaneggiando!»
«Sbagli! Ti ho visto prima, volavo in città e vi ho scoperto, te la stavi fottendo con gusto subito dopo mangiato!»
Vola verso di lei e le inizia a togliere il poco sangue restante per tenerla in non-vita. Svetlana senza minimamente reagire cade all’indietro, vedo per l’ultima volta quelle gambe meravigliose che rinsecchiscono all’istante nella morte definitiva.
È una visione eccitante, anche Ludmilla nella foga si ritrova con le vesti alzate, il culetto sussulta mentre beve, non resisto, devo averla! È una bella donna, devo ammetterlo, se non fosse la regina delle rompicoglioni non avrei il bisogno di fottere altrove… aaahh magico! Due volte in meno di un’ora, per fortuna il fisico immortale mi aiuta.
«Cazzo Ivan Dragomir! Adesso ho capito! Serve questo per smuoverti? Ti accontenterò spesso, decimerò il tuo gregge puttanesco!»
Mi alzo rivestendomi, anche lei lo fa ma molto lentamente, ha di nuovo quello sguardo odioso con cui mi fa capire che è più forte di me, può fare ciò che vuole di me, sono un debole.
Per fortuna gli schiavi guardano senza capire, non ragionano, sono simil-zombie, non ammetterei mai una figuraccia davanti a degli inferiori.
«Comunque anche tu ti scopi il giardiniere, il vivente così stupido che non capisce il motivo per cui tu lo faccia venire a lavorare, ed a soddisfarti, solo di notte».
«Ah, te n’eri accorto! Perché non mi hai mai schiaffeggiato? Perché non l’hai ucciso?»
Non posso dirle che ero contento di quell’aiuto insperato, non l’ho mai ucciso solo per quel motivo.
«Non sapevo come comportarmi, adesso lo so, ti schiaffeggerò, contenta?»
«Se provi a toccarmi t’infilo un paletto di frassino… e non nel cuore!»
Ho un brivido al pensiero.
Capitolo 2 – Sussurri e grida
Eppure ero convinta che qui non ci fosse nulla.
Non ne sono sicurissima, non sono venuta molte volte qui, nel profondo del bosco, però ricordavo solo ruderi, forse avrò sbagliato strada.
Un castello si erge dinanzi a me, ha l’aria di essere abbandonato, non c’è alcun segno di vita, m’incuriosisce, quasi quasi provo ad entrare.
Da piccola conoscevo ogni sasso di questi posti, venivo qui con mio padre, iniziava sempre con: «Irina, ascoltami bene…», e da lì iniziava una storia sempre diversa su vampiri, lupi mannari, zombie; m’insegnò anche a riconoscere ogni tipo di piante, di alberi, di funghi, evitare quelli velenosi; stava insegnandomi tutto della vita, gli volevo molto bene.
Un giorno scomparve, era da solo, quel giorno ero rimasta a casa, non mi sentivo bene, era una delle prime volte che avevo quel problema, quello che poi mi successe regolarmente, avevo pianto a dirotto quando vidi il sangue che stava fuoriuscendo da me, mamma poi mi tranquillizzò ma ancora non ero abituata a quel… ciclo.
Papà non fu ritrovato mai più, però trovarono del sangue in terra, il DNA era suo, almeno così sentii sussurrare dai vicini che erano venuti a consolare la mamma… Alexandru la consolava anche di più, lo capii anni dopo, erano già amanti, lo sapevano tutti, quando io e papà andavamo nel bosco loro si amavano a casa di lui, cento metri di tradimento.
Dieci anni… mi manchi papino.
Pensare al passato mi fa male, torno al presente.
Un rumore mi arriva nelle orecchie all’improvviso, come se venisse dal nulla, uno sbattere d’ali, un brivido mi attraversa, nonna direbbe che un fantasma mi è passato dentro! Per fortuna ancora non ero entrata, corro dietro un albero mentre delle nuvole fanno diventare buia tutta la zona.
Forse prima c’era troppo sole, adesso che prevale il buio si vedono delle luci accese all’interno, mentre mi rialzo vengo spinta da dietro, cado in terra, qualcuno mi ha assalito alle spalle, mi divincolo ma non riesco a girarmi, non posso prendere l’assalitore, è senza capelli, provo a graffiarlo ma le braccia non arrivano alla sua faccia. Urlo per cercare aiuto… è inutile, sono troppo lontana.
«Urla quanto vuoi troia, vedrai che domani ti piacerà, m’implorerai di possederti».