La prima persona che il maresciallo convocava in caserma se era stato svaligiato un appartamento, tanto per andare sul sicuro o quasi, era Pietro Barca (Petrin per gli amici) di professione ladro e quindi conosciuto assai bene al milite della Benemerita. E nel novanta per cento dei casi era certo che il ladro fosse proprio lui. Ma, si sa, o becchi il malfattore con la carne in bocca, o rinvieni in casa sua la refurtiva o parte di essa o la mancanza di un alibi, ma in questo caso a testimoniare che lui era al bar a giocare a biliardo o a carte e riempirsi lo stomaco di birra c’erano sempre a scagionarlo i suoi degni compari che mentendo spudoratamente giuravano il falso, o ciao e amen. Quindi in mancanza di tali elementi, che suffragano il fatto, in mano non hai niente che possa incolparlo.
E le cose andavano ormai così da anni. Da quando cioè il maresciallo era stato tradotto sulla riviera romagnola dove, dopo anni di richieste di trasferimento e soprattutto incalzato un giorno sì e l’altro pure dalla moglie che di quella zona era originaria, era giunto. Da circa dieci anni circa quindi Ernesto Poddu (di chiare origini sarde), sottufficiale dei carabinieri, era sbarcato sull’Adriatico dalla provincia di Aosta a comandare la stazione dell’Arma del paese adriatico. Ma questa è pura cronaca. C’è da dire che in quel luogo dell’entroterra a pochi chilometri dal mare raramente accadevano fatti criminosi di una certa rilevanza, per cui l’unica spina nel fianco del maresciallo era appunto il Barca e le sue malefatte.
Vero è che qualche soddisfazione il comandante se l’era presa. In più di un caso infatti le prove raccolte erano talmente evidenti e schiaccianti che il Petrin (per gli amici) pur giurando sulla Madonna dei sassi (che non esiste, ma essendo il Barca anche religioso, evitava di tirare in ballo Santi reali la cui magari collera per essere stati citati avrebbe potuto ritorcerglisi contro, quindi si sa mai) che nulla c’entrava, aveva dovuto soccombere e farsi arrestare con grande compiacimento del maresciallo Poddu la cui attività investigativa dava ogni tanto ragione.
Quando alle dieci di sera il telefono di casa del maresciallo trillò, questi si trovava spaparanzato sul divano davanti al televisore.
"Vogliono te" gli urlò la moglie dall’altra stanza. Alzatosi di malavoglia prese la cornetta e il piantone di guardia alla stazione dall’altro capo del filo gli comunicò che c’era stato un furto in un appartamento. Se poteva venire subito….. “Barca Pietro sei mio” pensò.
In un attimo si vestì della divisa e raggiunse il luogo del misfatto dove l’unica pattuglia con l’unica auto a disposizione della piccola stazione lo stava aspettando.
L’anta di una portafinestra di una villetta, adibita sicuramente a dimora estiva, presentava segni di scasso anche se all’interno il disordine non era poi così evidente. Sì qualche cassetto aperto, qualche sportello pure, ma nulla di più. Segno comunque evidente di una visita ladresca. Dato che si era in aprile e quindi le vacanze ancora non erano cominciate e sapendo che quella stagione era la più propizia per le operazioni di svaligiamento in quanto le case erano ancora disabitate, di subito il maresciallo non potè non pensare che il Barca, proprio per questa sua consuetudine, c’entasse e non poco. Convocatolo il mattino successivo in caserma il Petrin (per gli amici) naturalmente negò ogni addebito.
Al solito, a sua difesa citò Tizio, Caio e Sempronio, che avrebbero potuto testimoniare sulla sua buona fede.
Il fatto è che davvero stavolta il Barca non aveva commesso nulla contro la legge. Era veramente al bar ad ingozzarsi di birra tra una mano di carte e l’altra. E stavolta davvero Tizio (Amedeo Luppi detto “il Ragno” per la sua abilità a scavalcare muri per fare quello che è facile intuire), Caio (Domizio Domizi detto “Diottria” perché portava un paio di occhiali con lenti spesse come fondi di bottiglia) e Sempronio (Loris Pitrelli detto “Faina” per il fatto che non avrebbe potuto far altro che rubare in un pollaio) convocati in caserma, giurarono sacrosantemente (una volta tanto) il vero. Petrin era con loro al bar per tutto il tempo che si presumesse fosse avvenuto il furto.
Altra sconfitta del maresciallo che, con le pive nel sacco, non potè far altro che rilasciare il sospetto e i suoi degni compari.
A questo punto il Petrin cominciò a domandarsi, anche lui, chi aveva usurpato il suo lavoro e nella sua zona oltretutto, facendo sì che il maresciallo indirizzasse su di lui i suoi sospetti. Ma questo era il minimo perché ci era abituato.
Da ladro quale era si trasformò quindi in investigatore. Avrebbe condotto una sua personale indagine per scoprire il vero colpevole che avrebbe consegnato nelle mani del maresciallo dimostrando così la sua più evidente innocenza e, magari, per ipotecare anche un prossimo futuro.
Sparse un po’ la voce nell’ambiente, domandò, fece, brigò, curiosò, maneggiò, spiò, fino ad arrivare alla conclusione. Il ladro (quello vero) altri non era che il suo anzianissimo padre (ottantanove anni) che, scappato nottetempo dalla casa di riposo in cui si trovava, per dimostrare a se stesso e soprattutto al proprio figliolo che ancora era in gamba, anche se un po’ fuori di testa, che il ricovero in quella struttura, se pur decorosa, non gli confaceva affatto e che ancora poteva agire come ai bei tempi in cui fare il ladro era un “lavoro” per cui bisognava saper agire con destrezza, furbizia e temperamento, si era momentaneamente allontanato per ribadire e provare il tutto.
La notte del furto infatti il Giuseppe Barca (padre di Petrin) aspettò che il suo compagno di camera si fosse addormentato e silenzioso come un gatto si era vestito ed era uscito addirittura dalla porta principale, che tanto chi la stava a sorvegliare, essendo la struttura abitata solo da ottuagenari che alle otto di sera erano già sotto le coperte e dal personale che generalmente la sera si preoccupava solo di spaparanzarsi davanti al televisore dopo un rapido giro di controllo alle varie camere. Ma lui era vigile e pronto sotto le coperte.
Una volta fuori si diresse con passo deciso (per quanto possa essere deciso il passo di un quasi novantenne) verso un luogo in cui sapeva esserci un gruppo di case momentaneamente disabitate. E lì, davanti ad una di esse, con il solo coltellino che aveva appresso, forzò un’anta e si introdusse all’interno come ai bei tempi e cominciò la razzia anche se ben poco c’era da rubare ma non importa.
Quello che gli importava era dimostrare a se stesso, agli altri e soprattutto a suo figlio che l’aveva malignamente rinchiuso in quella struttura (secondo lui) neanche fosse un vecchio rincoglionito (anche se un po’ lo era davvero) che ancora la sua parte la sapeva fare. Perché poi glielo avrebbe detto al Petrin che era stato lui. E sai che bella risata a vedere la sua faccia incredula.
E pazienza se lo avessero (giustamente) accusato di furto, tanto a quell’età in prigione non ci sarebbe andato certo.
Dopo il misfatto, quatto quatto tomo tomo, riprese la via del ritorno e rientrò, sempre dalla porta principale, che tanto nessuno la sorvegliava specialmente alle due di notte che si erano fatte. In tasca aveva un braccialettino d’oro e una stilografica frutto del passaggio ladresco.
La prova provata che proprio Barca senior fosse l’autore del crimine consistè nel fatto che, quando Barca junior si recò all’istituto dove si trovava il padre, vide che un assistente della casa di riposo, per nulla accortosi della temporanea vacanza dell’ospite, sfoggiava al polso un braccialettino d’oro che, disse questi, gli era stato regalato dal signor Barca (senior). Sul comodino faceva bella mostra di sé una bellissima stilografica che il Petrin mai aveva visto.
“Sei stato tu vero?” gli chiese Petrin
“Embhè? La vuoi quella penna che tanto a me non serve?” rispose l’anziano con un sorriso beato stampato sulle labbra.
No no no…che fare di un padre così?
Che fare davvero? Andare dal maresciallo? A dirgli che? Che un vecchio di quasi novantanni aveva commesso un furto, con la consapevolezza che non ci avrebbe creduto manco morto? Ma dai.
Il giorno dopo però Pietro Barca fu convocato in caserma e il maresciallo, che in fondo era un brav’uomo, guardandolo anche con un po’ di ammirazione (sicuramente interposta) gli disse semplicemente:
"Signor Barca, per favore, stia un po’ più attento al suo anziano padre. La sera, visto che fa ancora un po’ freddo, si rischia un bel raffreddore e per via del buio anche di cadere e di farsi male e chissà quando ti ritrovano. Buona giornata."
E bravo il maresciallo, pensò il Petrin (per gli amici): c’era arrivato anche lui
E militarmente, ma col sorriso sulle labbra, il milite della Benemerita lo congedò.