- Ciao, come stai? Visto che giornata meravigliosa?
Mi giro di scatto, non pensando di incontrare qualcuno alle 6:30 del mattino che mi conosce né tantomeno che abbia la forza di parlare.
Lo ammetto, sono alquanto burbero e silenzioso appena alzato figuriamoci se poi è un giorno lavorativo e devo uscire al freddo a recuperare la macchina, ah già la mia auto, dove l’ho parcheggiata ieri sera? Certe volte penso che la mia auto viva di vita propria, quante volte scendo convinto che sia in quel luogo ed invece vedo le luci arancioni delle frecce che mi fanno occhietto da un’altra parte, meno male che c’è il telecomando per aprire le portiere che è anche un ottimo strumento rabdomantico per ritrovare l’automobile parcheggiata.
Quante volte mi è capitato da ragazzo di parcheggiarla la sera, ma farei meglio a dire la notte inoltrata al ritorno da serate balorde, in un posto e di ritrovarla la mattina seguente in un altro posto, in quel momento ho iniziato a pensare a lei come ad un corpo ferroso dotato di vita propria, almeno fino a quando scoprii che me la spostavano quelli del lavaggio strade perché era sempre parcheggiata dal lato sbagliato della strada, quello appunto che dovevano lavare e allora muniti di muletto idraulico spostavano le macchine alzandole e mettendole sull’altro lato della strada.
A quei tempi mi sembrava di vivere vite parallele contemporaneamente, la mia mente continuava ad avere stimoli continui dalla realtà, separata o no da quella reale.
Ancora oggi le esperienze accumulate si risvegliano a piacimento dentro di me e mi rapiscono dalla realtà.
Non parlo solamente di esperienze vissute ma anche di quelle percettive dovute a sensazioni o ancora di quelle oniriche dovute ai voli della mente durante la lettura di un libro o ancora di più quelle sensoriali dovute alla musica dove una nota, un acuto, un accordo o un riff musicale innesca inevitabilmente un nodo alla gola o scatena l’epidermide in un brivido o ancor di più in un effetto pelle d’oca, proprio come adesso che ti sto parlando.
Maledizione, non devo farmi più convincere a bere il bicchierino della staffa a fine serata, ah già, la riunione di ieri sera. Di cosa si trattava? Di solito mi incontro settimanalmente con gli amici del Bridge, amici intellettuali penserete!
Ex compagni di scuola del Liceo, stessa compagnia di trentacinque anni fa, ci siamo re incontrati per caso, ma forse neanche tanto per caso, circa 15 anni orsono. Non sarai anche tu uno di quelli che pensa che tutto succeda per caso?
No ma ieri non era la serata del Bridge. Ma che giorno è oggi?
Aspetta un attimo, sto divagando ancora, dov’è quello che mi ha salutato?
Mi accorgo adesso che chi mi ha dato il buongiorno, vedendomi così allucinato nel girarmi, se ne stia andando per la sua strada; chissà che sguardo impallato ho, probabilmente devo essergli sembrato uno zombie o un fantasma, di quelli che ti guardano attraverso come se non esistessi, che stanno mettendo a fuoco al di la di te che gli sei davanti, come se fossi tu quello trasparente.
Trasparente come l’acqua, impalpabile come l’aria, ma se faccio un respiro profondo, in questa mattina fredda e pungente, posso vedere il mio respiro, posso vedere i raggi del sole che corrono attraverso il caldo vapore acqueo che esce dalla mia bocca, ok non sarà il più profumato del mondo ma l’effetto fotografico dell’immagine descritta non presupponeva che avesse un odore.
Siamo in quell’ora in cui la notte cede il posto al giorno e le coperte che l’avvolgono si dipanano e le nubi assumono sembianze come di vele nello sconfinato celeste del cielo, tanto celeste che sembra di trovarsi immersi in una piscina e di guardare l’esterno dal fondo della vasca.
Ecco mi sono perso di nuovo.
Devi avere pazienza con me, sono un creativo, uno con la testa tra le nuvole, almeno così dice la gente.
Sembro così tanto tra le nuvole che la gente guardandomi non si accorge di quello che gli sta succedendo intorno.
Ma io sì!
Certe volte ho l’impressione di essere ancora un bambino, una spugna che assorbe qualsiasi cosa gli sia intorno, un recipiente mai colmo.
Sentire il rumore in lontananza di una sirena, vedere il sorrisino timido di una bambina che sogna di essere grande mentre cammina con il suo papà tenendolo per mano, sentire l’antico odore delle storie che raccontano i vecchi riguardo le loro esperienze vissute, ascoltare le emozioni celate dietro il discorso di un giovane uomo davanti ad una piacente figliola, vedere l’impacciato movimento frenetico delle mani durante un concitato discorso e capire che le parole non bastano per trasmettere precisamente quello che si vuole dire.
A me capita anche questo alla mattina presto, incontrando qualcuno per strada alle 6:30, tutto per accorgermi che quel qualcuno che mi saluta sono io, o meglio, quel qualcuno è il mio spirito bambino, atavicamente affamato di conoscenza, di sensazioni, di emozioni, di socialità.
È importante parlarsi, chiedersi le cose, cercare di darsi delle risposte, interrogarsi sul perché, sul dove, sul come e sul quando; cercare le domande dentro di noi, aiutandoci con le nostre esperienze e se non bastano facendo nostre le esperienze raccontate da altri, con i libri, con i racconti della gente, con le immagini che vediamo.
L’immagine è il più potente mezzo di comunicazione che ha a disposizione l’essere umano per trasmettere le proprie sensazioni, ognuno ha la potenzialità di un artista.
La differenza tra un’artista e un non artista è solamente la voglia di cercare di comunicare al meglio le proprie emozioni al prossimo, avere la voglia di trasmettere il più fedelmente possibile il nostro pensiero, e allora:
“Ciao, come stai? Visto che giornata meravigliosa?”
Ognuno è un’artista, per come si prepara per uscire e sceglie gli abiti per trasmettere il proprio stato emozionale, per come prepara la colazione per se stesso o per le persone a cui vuole bene, per il sorriso che ha camminando per strada illuminando la giornata degli altri, per il suo modo garbato di porsi agli altri.
Anche sul lavoro è la stessa cosa, pensaci. Ogni momento della giornata è un’occasione per esprimere e coinvolgere gli altri nella propria vita, perché escludere qualcuno o qualcosa?
Escludere significa far morire una parte di noi.