L’ARTE DELL’800 E LA RECLAME

 

Individuare il momento in cui si è avuta la prima forma di pubblicità, o di comunicazione visiva atta ad incentivare o promuovere attività umane, è impossibile. Tra le prime forme di comunicazione possiamo sicuramente annoverare le pitture rupestri di Aix en Provence, dove sicuramente non si “pubblicizzavano” attività commerciali p prodotti ma si sperimentava una delle prime forme di trasmissione della conoscenza e della comunicazione non solamente verbale ma per immagini.

Già ai tempi degli antichi Greci o degli antichi Romani esistevano le insegne sopra le loro attività commerciali, le famose e chiassose frasi lanciate dai venditori ambulanti per attirare l’attenzione, sono sicuramente esempi concreti di come l’uomo abbia da sempre sentito la necessità di comunicazione finalizzate alla promozione di beni e servizi.

Con l’invenzione della stampa a caratteri mobili realizzata da Gutenberg nel XV secolo, abbiamo la prima diffusione del concetto di comunicazione di massa, ed è proprio lì che nasce il presupposto della pubblicità moderna.

L’evoluzione e l’affinamento delle tecniche di stampa consentirono la nascita dei primi manifesti e dei primi periodici d’informazione dove vennero inserite le prime pubblicità, quelle che rappresentarono i primi annunci pubblicitari.

“Le locandine o manifesti (affiches) francesi di fine Ottocento, sono una chiara traccia della faticosa elaborazione di un’iconografia moderna da parte di una società che in quel momento viveva il transito tra le forme della civiltà preindustriale e quelle della cultura di massa” (Simona De Iulio).

In quel periodo vediamo come diversi pittori si dimostrano pronti a rivedere le loro posizioni e a mettere la loro opera pittorica e concettuale di progettazione e di realizzazione al servizio di questa nuova forma di comunicazione “l’affissione”, considerandola una variante, qualche volta una naturale evoluzione, della propria produzione artistica.

Gli artisti francesi Jules Chéret e Henri de Toulouse-Lautrec dedicano una buona parte del tempo che occorre alla creazione del loro gesto creativo, allo studio delle linee e dei colori, alla ricerca di un legame più stretto tra testo e immagine, tutto mirato ad ottenere una maggiore facilità di comunicazione e incisività comunicativa tra il soggetto rappresentato e la percezione di quanto creato.

I manifesti creati da Toulouse-Lautrec (1891) o di Chéret per Le Moulin Rouge, si rivolgono direttamente al passante alla gente che transita davanti “l’esercizio commerciale” ed è grazie all’atteggiamento delle figure in primo piano che lo invitano a entrare metaforicamente in un luogo “altro” dal reale.

Il contributo estetico dato da questi autori, quindi, rende il manifesto capace di raggiunge la propria autonomia espressiva e stilistica, quasi a conferirgli una sua vitalità comunicativa che trae la sua forza dalla forte capacità espressiva trasmessa dal gesto creativo degli autori.

 

Gli artisti italiani, invece, cercano di trovare sempre nuovi legami tra prodotto pubblicizzato ed elementi decorativi.

Per la loro originalità si evidenziano molti autori tra cui Leonetto Cappiello, Aleardo Terzi e Marcello Dudovich.

L’attività grafica svolta nel campo della cartellonistica è un passaggio importante per la maggior parte di questi artisti sia per visibilità che per la contemporanea (o successiva) affermazione nell’ambito della pittura.

L’attività pubblicitaria di Cappiello in particolare, è particolarmente significativa, in quanto egli percepisce il fatto che in pubblicità è fondamentale rendere la presenza della merce un evento unico quindi immediatamente riconoscibile e soprattutto indelebile dalla memoria.

Egli, nonostante sia un pittore (appartiene al gruppo dei pittori post-macchiaioli) e quindi cresciuto artisticamente con dei criteri e regole sviluppatesi lungo tutta la sua crescita artistica, riesce a infondere nei suoi cartelloni su un linguaggio fortemente pubblicitario.

Nell’elaborazione dei suoi manifesti la merce è subordinata spesso ad un’immagine-simbolo che la rappresenta (egli era solito definire questa immagine sorprendente, ad alto impatto visivo come “arabesco”), inizia a precorrere il concetto di “simbolo o marchio” identificativo della merce.

In tal modo il manifesto non è più la semplice rappresentazione di una scena o di un’allegoria che richiama al prodotto ma lo reinventa e diventa un vero e proprio marchio.

Il manifesto che dà l’avvio a questo modo espressivo è quello che raffigura una donna verde su un cavallo rosso con sfondo nero e scritte gialle, per la ditta Klaus produttrice di cioccolato .

 

Alcuni altri modelli grafici che hanno influenzato e segnato tutto il percorso creativo della comunicazione visiva, possono essere individuati in: il cavallo rosso zebrato per Cinzano e un folletto che esce da un’arancia per Campari.

In tal modo Cappiello ha anticipato un fenomeno noto con il nome di “vampirizzazione”.

Il messaggio pubblicitario rischia di essere talmente forte, per cui si crea una così stretta associazione tra personaggio e prodotto che quest’ultimo finisce per esistere solo come attributo del personaggio stesso (o addirittura rischia di essere dimenticato!).

Anche Aleandro Terzi si è cimentato in questo ambito di comunicazione con l’elaborazione di immagini-marchio per esempio nel caso della scimmietta per il dentifricio Dentol (1920) e con il famoso cane del Colorificio Italiano (che poi diventò  Max Meyer, del 1921).

 

Diversa è invece la storia seguita da Dudovich che invece viene ricordato soprattutto per aver “messo in scena” gli agi della borghesia italiana nel periodo della Belle Époque.

Eleganza, mondanità e inserimento di veri e propri slogan:

  • A dir le mie virtù basta un sorriso per Kaliklor,
  • C’è una Bugatti non si passa! per le omonime autovetture e
  • Fisso l’idea per gli inchiostri di Padova.

- Continua -

 

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