Obiettivo della giornata: Festa di birra al Fosso, in mezzo alla campagna.
Ore 15:23
Non faceva altro che rompere le balle a chiunque per avere una compagnia alla festività. Le risposte erano sempre le seguenti:
“No, ho da fare”, rispose il soggetto 1;
“No, devo studiare”, affermò il soggetto 2;
“No, sono stanco”, sentenziò il soggetto3;
“No, ho un’altra festa”, confermaò il soggetto 4;
“No, ho da scopare col mio ragazzo”, confessò il soggetto 5 (ma cos…);
“No, non mi piaci e non voglio far compagnia con te”, direbbe l’ultimo soggetto…quest’ultima era quella più pensata, ma non detta. Per ipocrisia si gioca sempre con scuse cortesi.
Ore 17:10
Passò per il centro, cercando, come una segugia affamato, il luogo adatto dove rifocillarsi al caldo e dove poter addentare il suo panino fatto in casa, avanzato dal pranzo alla mensa di San Miniato. Era nelle zone di Fieravecchia, la biblioteca dell’Area Umanistica.
Passò dall’interno per raggiungere il giardino esterno-interno, nella speranza di trovare qualcuno dei suoi colleghi nelle zone. Speranza subito deceduta. Tra tutti i ragazzi affossati nello studio, gli unici che mancavano erano loro. Dio solo sa dove saranno.
Così si mangiò il panino; e niente: guardava un po’ quelli di Ingegneria, a ripetere a manetta tutto lo scibile; guardava un po’ quelli di Lettere ripetere come autistici la storia della vita e delle avventure dei letterati. I trenta minuti più lunghi della giornata.
Ore 17:42
Non trovando nessuno se ne tornò a casa, facendo una girata per Porta Camollia. Appena addentrata nelle vicinanze della Contrada dell’Istrice ad un tratto sentì squillare il telefono. Lesse l’avviso: due ragazze volevano sapere chi volesse venire alla festa.
Provò a rispondere, durante la camminata: davanti a lei passavano camioncini bolliti dei gelati; biciclette con sopra ottuagenari e quindicenni a tempo; macchine ansiose di saltare il rosso e dirigersi verso la propria meta. Tra uno slalom inconscio e una fermata opportunissima, riuscì a seguire la discussione digitale: le ragazze sembravano sole.
“Allora, chi vuole venire?”, chiesero entrambe.
Arrivò lei: “Io!”.
Loro dissero: “Ok, vieni alle 21,45 in piazza Gramsci. Porta da bere.”
Fantastico! Aveva un appuntamento, final… aspetta, doveva portare da bere! Nella zona dove abitava, San Miniato, non erano presenti pakistani o bar adibiti a vendere alcolici. E la Coop, proprio a ore 3 dall’uscita dell’Antiporta, e a quattrocento metri dal suo corpo, era chiusa.
Ore 18:15
Le toccò rientrare in città, a piedi, e tenersi le birre per tutta la serata, prima della partenza. Rimboccandosi maniche e arterie femorali e cardiache, ritentò la salita dell’Antiporta, e ritornò in centro. Senza perdere altre energie, entrò nel primo bar disponibile per comprare tre birre di pessima qualità, quello inoltre più vicino alla fermata di Piazza del Sale.
1. Il primo bar era un locale adibito a bistrot nelle ore serali, spoglio, minimale e senza finestre. Senza chiedere alcuna informazione, quatta quatta s’avvicinò al frigobar-vetrina per vedere eventuali prezzi. La sua presenza si era fatta sentire, come quella di un elefante in una vitreria: aveva quasi buttato per terra, a causa della mia sbadataggine, un portacenere di porcellana; lo riprese, facendo buttare a terra quasi tutti gli scarti di sigaretta. Il barista la vide scrutare le birre:
“Guardi che una birra viene 3 euro.”
“E tre birre?”, le chiese ingenuamente, sperando in uno sconto.
“Nove euro.”, le disse, rovinandola.
2. Il secondo bar ah no, non ci pensò più di tanto: accanto c’era la Conad. Uscì senza comprare nulla, nel disprezzo del barista. Velocemente andò alla Conad; lì almeno le birre venivano meno. Peccato che la fila fosse lunga mezz’ora! Le toccò tenere tre birre da quasi un litro tra le braccia, facendosi venire un’ipotermia parziale. Al suo turno, la cassiera aveva voluto che le adagiasse piano. Non aveva più alcuna sensibilità alle mani: le scaraventò nel nastro trasportatore.
“Signore, guardi che se le rompe paga e pulisce insieme.”, le commentò la cassiera, un riquadro di brufoli e doppie punte. Stette zitta e comprò. Se ne uscì e corse alla fermata, facendo schiantare le birre l’una addosso all’altra. Per tutto il viaggio di ritorno aveva temuto seriamente di ritrovarsi con le bottiglie rotte in più punti, e svuotate del loro nettare. Al controllo a fine viaggio si disse che l'unica cosa che si ritrovava rotta era a livello dell’inguine.
Ore 19:35
Lasciò le bottiglie in camera sua, e andò a cena. I suoi vicini di casa non sospettavano della sua uscita; non vide perché parlarne, tanto erano gli stessi che precedentemente le avevano rifiutato di uscire. Venne la straordinaria idea di cenare fuori, ovvero di prendere d’asporto e di andare nel parchetto accanto alla facoltà di Biologia; così da gustare meglio la cena.
Peccato che così ritardò e si trovò a mangiare roba fredda. Il di lei “No!”, perse ai di tutti “Sì!”. Non poteva che obbedire.
Ore 20:52
Eccola, a mangiare tra l’erba non trattata un groviglio di mozzarella col prosciutto dieci minuti prima crudo e ora cotto dall’afa serale.
Si misero a chiacchierare del più e del meno, mentre lei s'era sgolata tutta la sbobba, e si trovò in procinto di scappare. Le era venuta quasi la voglia di dire questo: “Ehi… ragazzi… guardate… sono le nove passate… devo andare… mi vedete… ora vado!”, e nel dire ciò cominciò a fare gesti minimi da comico americano. Non aveva avuto il coraggio; non era così stupida.
Il tutto era durato una mezz’ora.
Ore 21:22
Dopo averli salutati, nell'ansia generale, se ne scappò alla fermata. Subito si accorse di essersi dimenticata le bottiglie.
Ore 21:27
Corse a prenderle, non le trovò, rovistò ovunque in tutta la camera, le cercò disperata. Si mise a paranoiarsi su chi potesse averle prese, programmò una figura di merda al suo coinquilino, reo di aver preso in maniera involontaria le sue birre le ritrovò, dimenticò tutto, scappò per prendere il bus.
Ore 21:30
E lo perse. Le toccò prendere l’altro.
Ore 21:58
Arrivò comunque in tempo, a differenza delle ragazze. Per andare al Fosso doveva prendere un bus in partenza verso le 22. Erano quasi le 22, e ancora né loro né il bus erano visibili. Aspettava, e intanto controllava messaggi o altro. Ne scoprì uno delle ragazze: arrivavano in ritardo. Le maledisse. Zitta, da sola, in piazza Gramsci. Aspettava.
Ore 22:04
Le vide da lontano: una di loro aveva un tutor alla gamba, e l’altra aveva un'eruzione cutanea alla bocca.
“O che è successo?”, chiese.
“Eh, scusa, ma ad Annetta è venuto l’herpes. E io sono scionca.”, risponde Linetta, affetta da un lieve danno all’articolazione del ginocchio. “Te, da quanto sei qui?”.
“No da poco, tranqui. Ma il bus?”
“Il bus”, dice Annetta, “Ma…è dietro di te.”.
Ore 22:05
Eccolo lì, pronto per partire. Le fece salire prima di lei, e poi partenza.
Sperò di essere ancora sveglia, sennò le sarebbe toccato farsi lanciare dentro il bus al ritorno.