Sul tavolo della cucina dispose alcuni strumenti utili per chi vuole ottenere dei risultati veritieri: una mazzetta, un coltello elettrico e un tostapane, accese un fornello e ci mise sopra un altro coltello a lama piatta e infine tolse le scarpe e le calze a Frank, che in quel momento parlava nel sonno. Frasi sconnesse senza significato, Thomas riconobbe solo alcune parole. Mentre accostava l’orecchio per udire meglio ciò che diceva, Tudesky diede segno di riprendere i sensi. Thomas nascose in tutta fretta gli attrezzi che erano sul tavolo con un telo.
«Susan... amore... ricordi quel tipo a cui abbiamo sequestrato la figlia? Ma... ma che succede? Perché sono legato? Le mie scarpe, dove sono? Aaaaaaahhhhh! Dio che male il ginocchio. Perché sono senza scarpe!?» domandò Tudesky guardando intorno in cerca di qualcuno con cui interloquire.
«Ciao Frank, ben svegliato, ora... se non ti dispiace, mi vuoi spiegare che cazzo sta succedendo?» chiese Thomas in tono gentile e pacato.
«Oh! Merda! allora non stavo sognando! Te lo giuro non lo so dove è la bambina, l’ho lasciata con Susan, gli ho detto di portarla in un motel, ma non so dove sia esattamente, ti prego non farmi del male» supplicò l’uomo seduto al tavolo.
«Fraaaank, le bugie hanno le gambe corte e il tuo ginocchio non se la sta passando molto bene direi. Avanti, non costringermi a farti altro male, la cosa potrebbe piacermi e non vorrei prenderci gusto, vedi...» disse svelando gli attrezzi di tortura apparecchiati in ordine sulla tavola.
«Oh! Oh! Porco demonio, tu hai bisogno di farti vedere, ma da uno bravo...» disse il malconcio.
«Non fare lo stronzo con me, le tue pene posso terminare anche subito, se tu lo vuoi.»
«Te l’ho detto brutto pezzo di merda non lo so dov’è quella puttanella di tua figlia» urlò il rivenditore d’auto. Un lampo d’odio nei suoi occhi lo fulminò, il suo ospite se ne accorse e col terrore dipinto sul volto gli implorò di perdonarlo, perché non voleva offenderlo.
Thomas afferrò una mazzetta dal tavolo e gliela mostrò, Tudesky cominciò a piangere e, senza dire una parola, s’inginocchiò vicino ai suoi piedi, gliene prese uno, lo tenne fermo... Il malcapitato chiuse gli occhi e... strinse forte i denti trattenendo il respiro in attesa del colpo, ma non accadde nulla. Tudesky espirò fuori l’aria che aveva nei polmoni e ringraziò Thomas.
In quel momento squillò un telefonino, Thomas controllò le tasche della giacca del suo ospite e vi trovò un cellulare, sullo schermo si vedeva la foto di Susan che lampeggiava a tempo con la vibrazione e la suoneria:
«Non ringraziare me, ma il telefonino, idiota! Oh! ma guarda un po’, che romantico che sei Frank» poi, gli slegò le mani e glielo tese.
«Rispondi. Dille che è tutto ok, che presto sarà tutto finito, rassicurala e aggiungi che tra un’ora e mezza sarai da lei con i soldi, dille di portare la bambina alla rivendita, la raggiungerai lì, intesi? Ricordati che la tua vita è nelle mie mani» e per vedere se avesse capito, gli mostrò di nuovo la mazzetta, lui scosse la testa in assenso e deglutì.
Fece come gli era stato ordinato, Susan abboccò all’amo come un tonno. Tutto andava come stabilito da Thomas. Una volta chiusa la comunicazione gli disse di raccontargli tutta la vicenda, voleva sapere perché avevano rapito Jenny e quali pensieri lo turbavano, prima di riprendersi dallo svenimento aveva farfugliato qualcosa su di un Don e l’F.B.I. Tudesky accettò di raccontargli tutto, ma prima bisognava fare qualcosa per quel ginocchio che continuava a perdere sangue e il malconcio stava diventando sempre più bianco, Thomas non voleva che morisse, certo non in casa sua, il fatto sarebbe stato alquanto disdicevole. Gli spiegò che doveva togliere il proiettile e cauterizzare la ferita, per rassicurarlo aggiunse che l’avevo imparato sotto le armi, poteva operarlo, ma lui doveva resistere al dolore. Tudesky annuì.
Lo slegò completamente, tanto anche se avesse voluto scappare non avrebbe fatto molta strada. Con le forbici tagliò il pantalone e usò la corda a mo’ di laccio emostatico, poi prese dell’acqua per lavare la ferita, così da poter localizzare il foro d’entrata. Da un cassetto della cucina prese un tovagliolo e lo consegnò al paziente chiedendogli di stringerlo tra i denti. A questo punto Thomas prese a farsi strada con la lama nella carne del suo ospite, che si dimenò come un pazzo epilettico, si tenne con tutta la forza che aveva in corpo alla sedia, il suo medico cercò di immobilizzargli la gamba tra le sue, quando sentì il proiettile prese una pinza lavata nel brandy e lo estrasse.
L’operazione era riuscita. Il povero Jimmy Tudesky, alias Frank, aveva reagito bene, Thomas si complimentò con lui. Il suo paziente si tolse il fazzoletto da bocca, ma lui gli disse di non farlo, ché il meglio doveva ancora venire: disinfettare la ferita e evitare l'emorragia. Gli passò la bottiglia di brandy da sopra il tavolo, prese il coltello dalla cucina con la lama infiammata, ritornò dal suo ospite e gli disse di buttare giù un altro goccio e di rimettersi il fazzoletto in bocca, eseguì gli ordini come un bravo soldato, Thomas prese la bottiglia dalle sue mani, gli fece segno di “Salute”, ne bevette un po’ anche lui, poi versò un po’ del distillato sulla ferita e subito dopo appoggiò la lama rovente sul luogo dell’intervento. Frank si dimenò come una vipera, cercò di liberarsi dalla sua morsa e poi come da copione svenne per la seconda volta.
Venti minuti più tardi, si risvegliò col ginocchio bendato e il dolore ancora vivo, mezzo coricato sul tavolo, il volto distrutto e pallido come quello di un fantasma.
Thomas era seduto davanti a lui con la bottiglia di brandy in mano.
«Come ti senti: “viso pallido”?» chiese il dottore al suo paziente.
«Da schifo!» rispose stremato il povero Tudesky.
«È già qualcosa» proseguì Thomas.
«Mi sento una merda» aggiunse infine.
«Ah! Ecco, grazie per avermelo ricordato, te la sei fatta nei pantaloni poco fa, prima che ti portassi qui in cucina, qui c’è un paio dei miei jeans, spero che la taglia sia giusta, di là c’è un bagno, ora ti accompagno» disse Thomas mostrandogli la strada.
Quando ebbe finito si affacciò sulla porta, Thomas andò a dargli una mano per riportarlo in cucina e adagiarlo sulla sedia: «Allora, me la racconti questa storia del Don e dell’FBI?».
Thomas si sedette nuovamente davanti al suo ospite vicino alla bottiglia di brandy. Tudesky gli strappò il distillato da mano e tracannò direttamente dalla bottiglia.
«Vacci piano, Frank!» lo riprese il medico.
«Ma perché diavolo continui a chiamarmi Frank, ora lo sai chi sono, no?!» protestò l’ospite.
«Sì, ma sai com'è, ormai mi ci sono affezionato, ti dispiace se continuo a chiamarti Frank?»
«Ma sì, che senso vuoi che abbia a questo punto» disse sospirando e giù un’altra sorsata. Poi, finalmente, iniziò a parlare.
CONTINUA...
Santiago Montrés