Intanto il suo viaggio vorticoso giunse al termine: fu letteralmente vomitata da un altro monitor con un impeto tale da schiantarsi addosso ad un'altra persona che giaceva su di un pavimento. Istintivamente per parare la caduta posizionò il palmo delle mani a terra. La borsa attutì l’urto, sollevandosi sulle braccia abbassò lo sguardo e diede un urlo terrificante. Sotto di lei, steso, c’era il corpo di una donna con un pugnale conficcato nel petto che lei aveva contribuito a spingere ancora di piu’ in profondità. Era atterrata in una pozza di sangue, continuando ad urlare si rialzò ed estrasse con forza l’arma, inconsciamente e stupidamente.
Urlava, urlava disperatamente, la mano grondava di sangue, un raggio di sole illuminava la lama insanguinata rendendo l'orrore più evidente, più nitido. Un coltello robusto con una lama spessa: un Bowie.
Proprio in quell' istante avvertì dei forti colpi alla porta d'ingresso che si ritrovava di fronte, il rumore dei calci del poliziotto che cercava di fare irruzione sfondandola diventava sempre più forte, più intenso e incessante, finché la porta finì col frantumarsi. Tanti gli agenti che entrarono nell’appartamento, tutti allertati da una telefonata anonima che denunciava l’assassinio di una donna al terzo piano dello stabile in via Degli Sconosciuti al civico 21.
La scena che gli si presentò era a dir poco raccapricciante: una donna insanguinata ormai esanime cui erano stati inferti diversi fendenti, immobile sul pavimento con al suo fianco l'assassina dallo sguardo fisso e agghiacciante che continuava ad urlare impugnando l'arma del delitto. Fu subito disarmata, immobilizzata e ammanettata dall’agente che recitava la frase di rito: “Lei ha il diritto di rimanere in silenzio. Qualsiasi cosa dirà potrà e sarà usata contro di lei in tribunale. Ha diritto ad un avvocato durante l’interrogatorio….” Non ebbe il tempo di finirla che se la ritrovò svenuta ai suoi piedi.
Intanto arrivò anche il medico legale che non poté fare altro che constatare il decesso di Maggie specificando che il corpo veniva messo a disposizione delle autorità giudiziaria e che sarebbe stato sottoposto ad autopsia. Il medico, fissandola, notò che neanche la tragica morte era riuscita ad offuscarne la bellezza: alta, bionda, un viso incarnato e delicato, semplicemente stupenda.
Radiosa si risvegliò in una stanza d’ospedale e l’ultima cosa che ricordava era il gelo delle manette. Al braccio sinistro attraverso una flebo le veniva somministrato chissà cosa. L’ago cannula in vena la infastidiva terribilmente: troppi ricordi. Era piantonata da un agente, rigorosamente in borghese, per evitare che i bambini ricoverati a quel piano si spaventassero e le mamme si agitassero.
Il poliziotto ogni tanto si affacciava all’interno della stanza per controllarla. L’agente era stato informato del fatto che ci sarebbe stato un andirivieni in quella camera perché era l’unico posto in cui delle dottoresse tirocinanti potevano indossare i costumi per la clown terapia: “la terapia del sorriso”. I clowns sarebbero stati super impegnati perché cadeva proprio quel giorno l’ Happy Dolly Day. Venivano distribuite ai piccoli pazienti in tutti i nosocomi della città delle bambole a grandezza naturale dal sorriso smagliante. Il continuo viavai di donne lo faceva stare continuamente in allerta anche se si rendeva benissimo conto che la piantonata non avrebbe avuto neanche la forza di alzarsi. Chiese loro di lasciare la porta socchiusa ma visto che ogni volta che sbirciava sembrava sempre più interessato alle loro forme piuttosto che alla malata, finirono per chiudersi a chiave. Continui Click ad ogni girata di chiave e quell’uscio che sembrava andare al vento. Aveva perso il conto di quante ne erano entrate e quante ne erano uscite. L’ennesimo ascolto di un clic gli confermò ancora la loro presenza. Si sbagliava di grosso.
A chiudere la porta a chiave era stata Radiosa. Non fu affatto difficile staccarsi la flebo. Aveva suo malgrado acquisito una pratica tale da sembrare un’infermiera esperta. Prima di alzarsi dal letto chiuse con dimestichezza il morsetto del deflussore per bloccare il passaggio del liquido ed estrasse lentamente l’ago. Era arrivata alla porta con passo felpato e con il cuore in gola per la paura che si aprisse da un momento all’altro. Fortunatamente riuscì a fare la mandata senza “sorprese”. Spalle alla porta sospirando pensò al da farsi. Non poteva restare lì, doveva approfittare della situazione per scappare. Tutti gli indizi deponevano a suo sfavore, niente e nessuno avrebbe potuto scagionarla. La stanza era circa 3 metri per 3, da una finestra vasistas posta a due metri da terra entrava un po’d’aria. Di certo non sarebbe potuta uscire da lì. Per sua fortuna in un angolo c’erano ancora tanti costumi da clown e una decina di bambole da distribuire. Non le restava che provare a farla franca travestendosi da pagliaccio. Una bambola coi suoi colori la posizionò nel letto. Nel braccio sinistro le infilò la flebo e le girò la testa verso il muro.
Prima di vestirsi doveva recuperare i suoi documenti. Iniziò a rovistare nel comodino, sotto al letto, sotto al materasso, ma non li trovava, provò ad aprire l’armadietto ai piedi del letto e vide la sua borsa. Che strano che gliel’avessero lasciata. Dopo essersi assicurata che non mancasse niente, soprattutto i documenti, il bancomat e i contanti, l’abbracciò fortemente come se fosse una persona cara. Prima di riporla dove l’aveva trovata estrasse il marsupio e lo riempì col portafogli, un pacchetto di fazzoletti, una penna ed un foglio. Nonostante le circostanze richiedessero velocità, era un po’ lenta nei movimenti, aveva perso la cognizione del tempo, non sapeva neanche da quanto si trovava lì. Si tolse la camicia che si era ritrovata addosso, si allacciò il marsupio in vita ed iniziò a cercare tra i vestiti dismessi qualcosa che potesse andarle bene. Indossò un jeans ed una camicia azzurra, subito dopo i pantaloni a pois in raso con bretelle blu, infilò la maglia a righe rosse e gialle, la cravatta a scacchi, un enorme parrucca fucsia, un enorme berretto posizionato sulle ventitré che le nascondesse quanto più possibile il viso, le scarpe e infine l’enorme naso rosso.
Click, aprì la porta con mano tremante, la richiuse e si incamminò per il lungo corridoio sforzandosi di essere quanto più possibile naturale nell’andamento. Avrebbe voluto correre, scappare, ma non poteva, si rese subito conto di aver dimenticato la bambola: pazienza!