Enrico Pautasso, geometra e mediatore immobiliare, la sua agenzia era la più famosa e importante della città e ora si affrettava verso la sua ultima acquisizione, una villa settecentescaa circa un chilometro dall'ultima casa del paese. La strada filava dritta come una fucilata in mezzo ai campi di mais e grano e proseguiva fino all'incrocio con la statale a circa tre chilometri di distanza.
Quindi la casa si trovava esattamente in mezzo al nulla.
Enrico fermò l'auto davanti al portone in ferro battuto del numero quarantacinque di via delle Masche (via delle streghe, nel dialetto locale), scese dalla vettura e si guardò intorno leggermente frastornato, intorno il deserto.
Si era aspettato un vecchio rudere cadente ma la villa si mostrava in tutto lo splendore di una lussuosa dimora nobiliare.
Di struttura slanciata, resa ancor più lieve dalle imponenti vetrate altissime e colorate, simili alle vetrate delle cattedrali gotiche, sormontate da un fregio elegante a dividere il pianterreno dal primo piano, illuminato da bifore divise da colonnine leggere e decorate.
Nella parte alta, sul terzo piano, le finestre diventavano piccole e i due piani erano divisi dallo stesso fregio, il tutto decorato con molta eleganza stile rococò.
Enrico possedeva le chiavi, gli erano pervenute in agenzia dentro una busta chiusa contenente i documenti necessari ad una transizione immobiliare, e, felicità, un foglio dove il proprietario gli conferiva l'esclusiva alla vendita.
Si avvicinò al portone in ferro battuto dall'aspetto pesante e, aspettandosi resistenza, restò stupito dalla facilità con cui le chiavi girarono nella toppa e il pesante cancello si aprì girando sui cardini ben oliati.
Non si aspettava un'entrata così facile, guardò ancora la casa e inspiegabilmente sentì un brivido lungo la schiena.
Il sole ancora alto nel cielo si rifletteva sulle vetrate mandando lampi iridescenti, si avvicinò alla porta, un pesante lavoro di scultura lignea raffigurante in bassorilievo figure mitologiche e grappoli d'uva. Prima che avesse il tempo di infilare la chiave nella toppa la porta si aprì e apparve una piccola donna rotondetta vestita come una cameriera dell'ottocento, con tanto di grembiulino bianco profilato di pizzo Sangallo e crestina bianca in testa.
La donna era di aspetto gioviale e sorridente. <<Buona sera signor Pautasso, ben arrivato, era atteso, venga si accomodi
si spostò per farlo passare e lui non seppe cosa rispondere, imbarazzato entrò in una sala adibita a ingresso arredata con grandi cassapanche in legno nero scolpito e coperte di cuscini di cuoio nero, al muro grandi attaccapanni in bronzo decorati come le sei colonne alla sommità delle quali un giro di venti porta candele.
Larghi sipari di velluto blu celavano le porte che immettevano nelle varie stanze, un piacevole odore di cuoio e cera d'api aleggiava nell'aria.
Enrico, con lo sguardo critico dell'agente immobiliare, si guardava intorno valutando ogni oggetto, notando che non vi erano specchi "Strano - pensò - di solito nell'ingresso abbondano gli specchi"
La cameriera gli indicò una porta <<Venga da questa parte, qui c'è la sala da pranzo e fra poco sarà servita la cena, intanto si guardi pure intorno, suppongo che dovrà valutare ogni cosa per vendere
<<Grazie, signora, ha detto bene.Solo che mi aspettavo una casa vuota vecchia e cadente, al contrario vedo una dimora sontuosa e ben tenuta. La donna sorrise compiaciuta
<<Facciamo del nostro meglio e il lavoro non manca. Da questa parte ci sono le cucine,vorrà visitarle vero?
<<Le cucine?
<<Veda lei stesso, aprì una porta spostando una tenda e si trovarono in una stanza enorme pavimentata con lastre di basalto tirato a lucido .
Sulle pareti erano appese padelle e pentole di ogni forma, in rame lucidate a specchio, dal più piccolo pentolino ai grandissimi paioli, alle forme da budino e ai pesci per il pesce finto.
Tutto dimostrava l'amore per quegli oggetti e la fatica nel mantenerli lucenti.
Un enorme camino acceso su cui girava uno spiedo, con in cinghiale intero, che un giovane servo faceva girare lentamente.
Occupava tutta una parete, di tanto in tanto il giovane spennellava con un ramo di mirto l'animale intingendo in una ciotola dove una mistura di midollo di bue , olio, prezzemolo, rosmarino e aglio tritati.
Nell'aria si spandeva l'appetitoso aroma dell'arrosto, il sugo sfrigolava e il grasso colava nella leccarda dove fette di polenta arrostivano allegramente.
Enrico non aveva mai visto nulla di simile e l'aroma gli aveva risvegliato l'appetito.
M non era finita perchènella stanza accanto lo attendevano nuove sorprese.
Qui non vi erano camini bensì una grossa stufa di ghisa a legna sulla quale bolliva una pentola di dimensioni ciclopiche da cui si sprigionava l'aroma untuoso del brodo di cappone.