Quando Marcello Biraghi entrò in cucina, scoprì che il ragazzo di sua figlia sarebbe rimasto a cena. Era almeno il terzo ragazzo che Patrizia invitava a cena in due anni. Questo a Marcello sembrava di averlo già visto almeno un paio di volte e sua moglie era in grande confidenza.
Lo irritava quell'attitudine di Eloisa di diventare subito la migliore amica degli amici dei loro figli. A dire la verità c'erano parecchie le cose in Eloisa che lo irritavano ormai, a partire dai chili di troppo e dalla matita con cui aveva raccolto disordinatamente i capelli tinti di due diverse tonalità di rosso. Probabilmente non era più riuscita a trovare la stessa sfumatura, oppure ne aveva presa distrattamente un'altra. Eloisa era distratta e quello che una volta era stato il suo lato artistico adesso era rovinosamente naufragato nella sciatteria. Del resto, l'arte di Eloisa era servita solo a fargli pagare una multa per imbrattamento del suolo pubblico, quando era uscita armata di gessetti e aveva fatto un disegno su un marciapiede.
Marcello Biraghi si sentiva fregato dalla vita, come se tutto quello che gli aveva promesso si fosse rivelato un grosso abbaglio e tutti i suoi sforzi si fossero rivelati inutili.
Si sedette a tavola e disse a suo figlio di lasciar stare il cellulare, poi si pentì di averglielo detto perché si era unito alla conversazione degli altri tre e adesso parlavano tutti insieme e lui non riusciva nemmeno a sentire il telegiornale.
Sempre con aria distratta, senza staccarsi dalla conversazione dei figli, Eloisa gli mise davanti un piatto di pasta al pomodoro, fatto con pasta di diversi tipi e di diverse forme. Nervosamente, Marcello premette il pulsante per alzare il volume della televisione, poi rinunciò, prese il tablet e iniziò a leggere le notizie.
"Mi ricordo di questa storia," stava intanto dicendo Eloisa. "Io avevo più o meno quindici anni, ma fu uno shock."
"Era mia zia", disse il ragazzo di Patrizia. "Aveva vent'anni, stava tornando a casa dopo una giornata al lago dal suo ragazzo. Morì sul colpo e forse questa fu l'unica fortuna."
Marcello Biraghi alzò la testa dal tablet.
"Giada Gelsomini", bisbigliò.
Gli altri quattro si voltarono a guardarlo e allora si accorse di aver parlato ad alta voce.
"Ti ricordi anche tu?", disse Eloisa e con sollievo Marcello notò che erano solo stupiti per il fatto che li avesse ascoltati.
Annuì e tornò ad abbassare la testa sul tablet e a leggere le notizie, senza riuscirci, perché le parole gli scivolavano sotto gli occhi.
Giada Gelsomini era lì, accanto a lui, con i suoi vent'anni e la sua vita incompiuta, come tante altre volte.
Intorno a lui continuavano a parlare, adesso forse di altro, ma non li sentiva più.
Eloisa gli mise davanti un altro piatto con la solita distrazione. Era una cotoletta, era un po' bruciata ma questa volta Marcello non si innervosì, nemmeno sentiva il sapore, nemmeno vedeva quello che aveva nel piatto.
Patrizia e il ragazzo finirono in fretta, dissero che non volevano il caffè perché l'avrebbero preso fuori.
Anche Marcello disse che non voleva il caffè, prese il pacchetto sigarette e andò sul balcone. Vide uscire sua figlia e il nipote di Giada Gelsomini.
Guardò il puntino luminoso della sigaretta, nella sera estiva. La vita era strana, pensò, mentre si sentiva immerso dalla nebbia umida e fitta di quella sera d'autunno.
Era domenica, era uscito con tre amici con cui usciva sempre. Era una di quelle sere in cui si sentiva che l'estate era finita e la prossima era lontanissima. A quei tempi era così, adesso no, adesso ogni stagione era uguale all'altra. Quella sera però avevano diciotto anni ed erano annoiati, non sapevano cosa fare. Non ricordava a chi fosse venuta quell'idea, era stata una cosa così, che non doveva avere conseguenze. E così si era ritrovato sul cavalcavia, con il masso in mano. L'avevano tenuto in due e non si era quasi reso conto di aver mollato la presa, fino a quando non aveva sentito l'impatto sulla carrozzeria.
"Non restare lì impalato, andiamo!", gli aveva detto Pietro tirandolo per un braccio.
Nessuno li aveva visti. Per un po' di tempo la polizia aveva indagato su un gruppo di ragazzi che si trovavano sempre lì, vicino al cavalcavia. La foto di Giada Gelsomini aveva continuato ad apparire per mesi sui giornali, con il sorriso felice di quando era viva. Poi un giorno sul giornale aveva letto che Pietro si era impiccato e aveva risentito la sua mano che lo tirava per il braccio. Con gli altri avevano smesso di vedersi, quando capitava di incrociarsi, si salutavano appena, con un cenno, da lontano. Ognuno era andato per la sua strada, lui aveva conosciuto Eloisa, si era laureato, la vita era andata avanti.
E adesso, in un'altra sera, dopo così tanti anni, sua figlia aveva invitato a cena il nipote di Giada Gelsomini. Rivide il sorriso delle foto, la ragazza che sorrideva. La vita era strana e l'aveva sempre fregato. Il sorriso di Giada Gelsomini si trasformò in una risata allegra, divertita, che gli rimbombava nella testa senza che lui riuscisse a fermarla. Era la risata di chi non ha mai smesso di avere vent'anni.