«Che fai?»
«Cosa?», rispondo.
«Che fai sta sera?»
«Che cazzo ne so Oz, usciamo, come al solito»
«Va beh, è già tutto pronto. Partiamo stasera alle 23, andiamo a Mosca, ho trovato un tipo che ci porta»
«Che?»
«Ho trovato un tipo, ci porta... andiamo a Mosca»
«Così?»
«Che cazzo vuol dire così? Sì, così»
«È venerdì, abbiamo lezione oggi»
«Allora lo vedi che non ascolti un cazzo, stasera ho detto».
«Quando torniamo, domenica?»
«Cristo quante domande, sì domenica»
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Alcuni nostri amici optarono per il treno. Troppo dispendioso per guadagnare solo un’ora di tempo. Il tipo ci aspettava al benzinaio, di quale si trattasse non ricordo, i benzinai sono uguali dappertutto, ovviamente al benzinaio non c’era. Era scontato che non dovessi fidarmi di quel coglione di Oz.
«Non arriva, lo sapevo. Chissà come cazzo vi siete capiti.»
«Vaffanculo, tu manco parli russo, arriva fidati.»
Passata un’ora eravamo ancora lì con i nostri zaini. Una macchina entra nel parcheggio, accosta e abbassa il finestrino: «Oz? Max?»
«Hai visto coglione che ti avevo detto? Sei malfidente»
L’autista era quasi uguale alla foto inviataci, siamo saliti. Non ha avuto la men che minima intenzione di scusarsi per il ritardo, ma poco importava, iniziava a fare freschino fuori.
Aveva una Lada, del resto come tutti in Russia, macchina di fabbricazione sovietica. Lo stabilimento risiede a Togliatti. In Russia esiste una città che si chiama “Togliatti”, da matti. È dedicata al segretario del partito comunista, gli italiani sono affezionati a questa auto. Non proprio tutti, i rossi, loro si.
Ci sedemmo tutti e due nei sedili posteriori. Solitamente in questi casi uno di noi avrebbe dovuto sedersi davanti. Probabilmente è stata solo una nostra inconsapevole presa di posizione, dovevamo passarci tutta la notte in quella macchina e il solo fatto di mettersi davanti presupponeva una minima conversazione con l’autista, in quel momento non rientrava nel nostro programma. Per me sarebbe stato veramente difficile, a stento capivo qualcosa in quella lingua e sicuramente non mi sarei fatto dodici ore di fianco a un russo con la faccia non troppo simpatica. Poteva andarci Oz, sarebbe stato sicuramente più appropriato. Mi sono sentito meno in colpa.
Forse c’era seduto qualcun altro davanti, forse, non ricordo.
Il viaggio è stato un disastro; dovete sapere che l’autostrada da San Pietroburgo a Mosca non esiste, o meglio, esiste, ma è una combinazione di semafori, dossi e tutto ciò che non si presuppone che si trovi su un’autostrada.
Il finestrino laterale era rotto, ovviamente il mio. Lasciava passare quel poco d’aria da tenerti sveglio. La nottata è passata così, ricordo solamente una sosta in cui scese solo il russo, a noi non sembrava il caso di prendere ulteriore aria. Con la sigaretta nella mano destra e il caffè nella sinistra parlava con uno, forse il tipo che stava davanti.
Al mattino arrivammo. Oz sembrava aver dormito di più.
Infinite schiere di palazzoni sovietici, in disaccordo cromatico l’uno con l’altro, circondavano la nostra auto. Il russo accosta, si ferma, scende e noi con lui: «io sono arrivato».
Abbiamo pagato, preso i nostri zaini e ci siamo incamminati.