Kathrine strattonata da Jock Semple.
Kathrine difesa da Arnie Briggs.
Kathrine con la faccia stravolta mentre Tom Miller spinge via Jock Semple.
Tre scatti in un bianco e nero lattiginoso da giorno di pioggia.
Tre scatti per cambiare un destino.
Kathrine Virginia Switzer non voleva essere un simbolo. In effetti non si era mai posta la questione.
Era nata il 5 gennaio 1947 ad Amberg nel Wisconsin e a vent’anni era studentessa di giornalismo sportivo a Syracuse. La sua passione era correre.
Si allenava con Arnie Briggs, cinquantenne ex postino e suo allenatore, dieci miglia al giorno, tutti i giorni.
Arnie, veterano delle lunghe distanze, raccontava delle maratone a cui aveva partecipato e delle imprese dei maratoneti; tutti i giorni.
“Partecipiamo!”, disse Kat dopo aver ascoltato l’ennesima celebrazione della maratona di Boston.
“Nessuna donna può partecipare alla maratona di Boston!”
Poi guardò più a fondo negli occhi di Kat e si affrettò ad aggiungere: “Ma se c’è una donna in grado di farla, quella sei tu!”
Si iscrisse alla maratona di Boston del 1967 utilizzando le sole iniziali del nome, senza specificare il sesso. A K.V. Switzer fu assegnato il pettorale 261.
Insieme ad Arnie e al suo fidanzato Tom, uno sportivo del lancio del martello, si presentò alla partenza in una giornata fredda e scontrosa, contrariamente agli atleti, incuriositi dalla vista di una maratoneta donna.
Si era messa il lucidalabbra.
Non voleva nascondersi.
Voleva correre.
Voleva essere una donna maratoneta.
Era una donna maratoneta.
Improvvisamente da un’auto scese correndo l’organizzatore della maratona, Jock Semple, e la affiancò.
Aveva corso solo poche miglia.
Prima fotografia.
Jock strattona Kathrine, per farla uscire di strada. Grida “Va’ all’inferno, esci dalla mia gara e dammi quel numero!”, mentre cerca di staccarle dal petto il suo 261 e le strappa via un guanto.
Gli occhi increduli di Kat si voltano verso Ernie, che corre al suo fianco. Tom è appena dietro.
Si affaccia la tentazione di lasciare la corsa.
Seconda fotografia.
Ernie cerca di contrastare Jock “Può correre, l’ho allenata io!”, ma la sua figura esile è spostata dal possente ex maratoneta, adesso padrone della maratona di Boston. “Ernie, non ti mettere in mezzo!”.
Le mani di Jock fanno presa sulle braccia di Kathrine.
Finiamola qui.
Terza fotografia.
Tom Miller si lancia su Jock, spostandolo di peso e lanciandolo fuori dalla strada.
Kat è libera di scegliere.
“Corri, corri come il diavolo!”, grida Ernie.
Negli occhi di Kat ci sono un milione di emozioni: paura, coraggio, orgoglio, insicurezza, determinazione…
Kathrine fuggì da quel momento con la forza delle gambe e dei polmoni, fuggì da quella foto e riuscì a terminare la corsa.
Oggi Kathrine Virginia Switzer ha 74 anni. A 70 ha corso di nuovo la maratona di Boston.
In mezzo una vita passata a correre, riuscirà a vincere una maratona di New York e la battaglia nel mondo della maratona, che lasciava le donne fuori.
Anni di orgoglio, senza grida, senza urla, con la consapevolezza che per una fortuita situazione scaturita solo dalla sua determinazione e con l’aiuto di chi le stava accanto, una parte della parità di diritti tra i generi porta la sua firma: Kathrine Virginia Switzer.
E il suo numero, duecentosessantuno.
Bibliografia: Marathon Woman: Running the Race to Revolutionize Women's Sports, Da Capo Press, 2017