A seguito della prematura dipartita di Padre Vincent e al successivo scandalo che venne fuori, il Vaticano oltre che prendere le distanze, cercò come si conviene a un’istituzione di questo genere di fare ammenda.
A Roma nel frattempo era stato eletto come Papa Clemente Pontini, dopo l’improvvisa rinuncia del Papa tedesco: ora al seggio di Pietro sedeva un italiano e grazie a questo nuovo ministro di Dio, la Chiesa si trovava ad affrontare una nuova fase di forte rinnovamento.
Nella sede vescovile di New York, alle 15:00 di un caldo pomeriggio si riunì un concistoro per discutere la nomina del successore di Padre Vincent Gargano. Dopo un lungo dibattimento la scelta più giusta cadde su un giovane prete di campagna, un tale Joseph Clark. Pio e di umili origini, Joseph si è sempre distinto fin da piccolo, a scuola aveva sempre i voti più alti, durante il noviziato aiutò sempre i suoi confratelli nei lavori e fece anche delle opere di bene, di tanto in tanto dava una mano ai suoi parrocchiani nelle fattorie mungendo gli animali e accudendoli quando questi erano malati...
«È proprio quello che cercavamo fratelli, un ragazzo giovane col viso pulito, insomma, un uomo di Chiesa, educato nella grazia del Signore», disse padre Thomas.
«La prego padre Kurt, invii oggi stesso una lettera per farlo venire subito qui a New York per parlare con lui della sua investitura al sacerdozio come nuovo parroco di Saint Patrick», aggiunse subito dopo padre Edward. In un tripudio di gaudio ci fu la fumata bianca e i sant’uomini del concistoro poterono festeggiare dell’avvento.
Joseph ricevette la lettera di padre Kurt Osborne, vicario della sede vescovile di New York, quando si trovava a casa dei suoi genitori in Pennsylvania. La notizia fece subito il giro del vicinato e la sera stessa ci fu una grande festa.
A fine serata Joseph era seduto sul suo letto intento a fissare incredulo la lettera della nomina a Parroco di Saint Patrick. Non riusciva a crederlo possibile. La valigia era aperta sul letto, ancora vuota; ancora qualche secondo per riprendersi, poi l’avrebbe riempita con i suoi indumenti. Riempì un baule con gli effetti personali, libri, foto e oggetti che gli avrebbero ricordato casa nei momenti difficili. Era tutto pronto, l’indomani avrebbe preso il treno che lo avrebbe condotto alla “grande mela”.
Guardò la lettera ancora incredulo. Restava solo da chiudere la valigia, mise la lettera dentro la busta e poi la adagiò con cura tra gli indumenti in modo da non sgualcirla. Aveva davanti a sè l’occasione della sua vita, se avesse fatto le cose per bene, con l’aiuto del Signore, avrebbe potuto salire le scale della gerarchia ecclesiastica e magari diventare pure Papa.
Il sogno svanì quando si rese conto che New York, la “grande mela” per l’appunto, era il simbolo del peccato, il mezzo attraverso il quale serpente ingannatore aveva tentato Eva. Doveva stare attento, la grande città era piena di corruzione e di gente di malaffare, di prostitute e di assassini, di menzogne e gioco d’azzardo. Un surrogato colmo di nefandezze. La nuova Gomorra.
Giurò a se stesso che avrebbe riportato le persone nella grazia del Signore, lui che era l’erede dell’insegnamento degli apostoli.
Mentre chiudeva la valigia in un sospiro disse: «Ah, Vanitas, la tua è una vanagloria».
Santiago Montrés