Come posso dirlo? Dire a un uomo come te che…?
Perché, vedi, amore mio, questa esitazione non esiste. Anzi avrei dovuto parlarti già da troppo tempo.
“Tempo” - sai - è la parola più usata in tutte le conversazioni spicciole , per la strada, nelle mails, al cellulare :”….Non c’è tempo….Hai un po’ di tempo…. Manca il tempo….”
Ecco, oggi è arrivato il tempo, il tempo giusto, e non posso più aspettare.
Il tempo, in linea retta, scocca come una freccia con la punta intrisa di curaro.
Ma Il nostro tempo, mio tenero compagno, è come una marea che entra ed esce nella sabbia dell’animo e quando si ritira rimangono scoperti al sole i detriti dell’amore.
Mostra il cuore, amante mio, slaccia il giubbotto anti-proiettile.
Stamattina ti ho aiutato a stringere il nodo della cravatta, ma ora con le mie parole ti soffocherò in un nodo scorsoio.
Ormai ho capito, l’ho ammesso davanti alla giuria dello specchio: devo andarmene o non sopravviverò.
Tu non mi guardi più mentre dormo, non mi sposti la ciocca di capelli caduta sulla fronte e te ne infischi se ho sete, o fame, freddo, voglia di fare l’amore o di parlare.
Certi giorni io sollevo gli occhi, ti guardo e non ti vedo neppure.
Provo fastidio alla tua voce così ruvida, la tua tosse mi irrita e il tuo respiro è come il gesso sulla lavagna.
Non mi interessa ciò che dici, ammesso che riesca ad ascoltarti quando bofonchi.
Tu hai smesso di ascoltarmi, del resto, molto prima di me.
Ammettilo, tesoro caro, tu lo sai benissimo cosa è stato, cosa è successo.
“L’alba non dura tutta la mattina”, canta George Harrison nel vecchio LP.
Eravamo troppo innamorati, troppo felici, troppo persi nella magia.
Poi è arrivata la vita vera, quella di tutti i giorni, con il lavoro noioso , i soldi che non bastano, gli amici che spariscono, le sere davanti alla televisione.
E si è aperta la voragine del bambino mai arrivato, i dottori, gli esami, gli psicologi e le scartoffie per gli assistenti sociali delle adozioni, le mie lacrime e le porte che sbattevano perché tu non volevi più né vedere, né discutere, né sognare.
Svuotata e secca come un albero nel deserto entravo nella cameretta che rimaneva vuota, silenziosa e inutile, giorno dopo giorno, giorno dopo giorno.
Me ne vado, mio dolcissimo amore.
Ti lascio. Lascio te, la casa, la pianta della rosa sul terrazzo, appena curata con l’anti-cocciniglia, i due gatti randagi divenuti nostri ma sempre rimasti randagi nell’intimo, bisognosi solo di una casa e di una ciotola piena.
Non svuoto neppure l’armadio. Dai pure via tutte le mie cose, i miei vestiti, scarpe, borse, cappelli.
Brucia i miei libri. Fai un falò delle foto, dei ricordi dei viaggi, dei regali dei compleanni e degli anniversari.
Io, senza il sentimento per te, sono un’altra.
Prosciugata, ho disperatamente bisogno di sradicarmi dalla terra arida della nostra vita insieme.
Ho bisogno di acqua fresca e vivifica.
Risento in me l’istinto di sopravvivenza. Rinnego il passato, mio caro adorato, non lo riconosco.
Me ne vado straniata, lo sguardo da pazza e lo chignon sfatto.
Mi passo la cipria sul viso per cancellare i segni di tutti questi anni.
….Aspetta, suonano al citofono. Scendo in portineria un attimo.
Ho posato il vaso di cristallo sulla consolle dell’ingresso.
L’orchidea bianca è il mio fiore preferito e l’opale dei petali riluce nel naturale chiarore del crepuscolo.
Non ho voglia di accendere la luce.
Sono già pronta per la cena e ti aspetto.
Ti aspetto per tutto il tempo che ci vorrà.
“Il tramonto non dura tutta la sera”, oh George, taci tu!