Quella mattina il vice ispettore Giovanni Calamaretti aveva aperto le imposte e si era affacciato con il naso dritto verso il cielo. Le previsioni meteo avevano avuto ragione: fuori già pioveva incessantemente. Avrebbe voluto infilarsi ancora sotto al lenzuolo e pisolare un altro po’ ma erano le 7.15 e doveva sbrigarsi. Si rasò, si fece la doccia, si vestì, fece colazione con caffè amaro e croissant scongelato nel microonde, diede i croccantini a Frizt, prese le chiavi e uscì. Ogni giorno lo stesso rito da 20 anni a questa parte. Non che Calamaretti avesse solo 20 anni, magari! Ne aveva ben il doppio ma erano esattamente la metà dei suoi anni che lavorava al Commissariato e, da allora, le sue abitudini si erano congelate come i croissant in freezer.

Aprì l’ombrello e si incamminò verso il luogo di lavoro che distava cinque minuti a piedi, intanto la pioggia martellava dispettosa su ogni cosa fosse alla sua portata e, appena James mise piede fuori dal portone e la testa sotto al suo ombrello, venne giù il diluvio. Si affrettò a passo lesto, nonostante le scarpe da pioggia l’acqua riuscì a entrare attraverso l’imboccatura della caviglia e in un attimo si ritrovò i piedi zuppi. Sarebbe stato meglio aver messo gli stivali da pesca (non che lui andasse a pescare), ma che aveva acquistato per ogni evenienza. Che stupido! Pensò. Accelerò ancora il passo, scese dal marciapiede e sprofondò in una enorme buca colma di pioggia, allargò istintivamente le braccia per riprendere l’equilibrio perso ma… nulla da fare: cadde a faccia in su mentre l’ombrello venne trascinato via dal vento. Restò in quella posizione per alcuni secondi, con la pioggia che lo inzuppava come un babà nel rum, poi cercò di rialzarsi. Un dolore lancinante alla caviglia e alla tibia lo fece urlare. Nel frattempo, un capannello di gente si era accalcata attorno al malcapitato steso nella cunetta tra marciapiede e strada.

Udì, nel frastuono, qualcuno che diceva: “Non toccatelo!”

Un’altra voce: “Chiamate l’ambulanza!”

Altri ancora: “Per la miseria, che sberla!” 

Sentì qualcuno ridere. In effetti era sempre buffo quando qualcuno faceva una caduta acrobatica, si era ritrovato a sorridere anche lui sulle immagini di gente a gambe all’aria trasmesse in tv. Ora non rideva. Non ne aveva alcuna voglia. Il dolore era insopportabile e la pioggia, impietosa, non cessava. Udì il suono della sirena che si avvicinava, i volontari della Croce Rossa farsi spazio tra la folla, la barella dalle ruote cigolanti abbassarsi con un clang e qualcuno sollevarlo dalla pozza. James urlò. Un urlo disumano accompagnato da una delle più scurrili parolacce che avesse mai pronunciato. 

“E’ finita signore, ora andremo in ospedale.” Disse uno dei militi.

“Avvisate il Commissariato, lavoro lì.” Si premurò di informare il ferito.

L’ambulanza partì a sirena spiegata e in meno di 5 minuti James si ritrovò nella sala d’attesa del pronto soccorso circondato da più vecchietti di quanto potesse contarne. Tra il dolore lancinante che provava, come era solito fare, scrutò l’ambiente circostante: fu proprio in quel momento che la vide.

Procedeva tra gli ammalati elegantemente, un sorriso che neppure nelle pubblicità dei dentifrici più reclamizzati si poteva ammirare; i capelli lunghi e sciolti ondeggiavano ad ogni passo ritmicamente posandosi delicatamente su un seno di tutto rispetto che accompagnava la camminata rapida con un su e giù imbarazzante; gli occhi non ebbe modo di osservarli, preso da altre parti anatomiche. Sparì dietro la porta a vetri con la scritta Pronto Socoro (la C e la S erano miseramente scomparse). Il dolore sembrava attenuato, fino a che non lo portarono dentro all’ambulatorio. Si guardò in giro per cercare l’angelo di turno ma non la vide. Nel mentre, un robusto dottore dall’alito pesante, gli prescrisse i raggi e la sua barella venne trascinata altrove e lì abbandonata. Dopo circa un’ora di attesa qualcuno da dietro lo spinse nella stanza dove venivano fatti i raggi.

“Buongiorno. Signor Giovanni Calamaretti?” senza attendere risposta proseguì “Sono il dottor Fusilli. Non rida.” 

E chi ride? Pensò James.

“Le farò un po’ male.” Quando un medico ti diceva questa frase potevi stare certo che quel ‘po’’ sarebbe stato un casino di male. James si preparò ma, nonostante pensasse di potersi comportare in modo decoroso e resistere anche al dolore più insopportabile del mondo, non vi riuscì e urlò con quanto fiato aveva ancora in corpo. Subito dopo aver ascoltato il suo urlo il medico disse: “Finito.” Bastardo! Fu un altro pensiero di James.

Lo trascinarono, ancora dolorante, nuovamente al Pronto Socoro e lo misero in attesa di un’altra visita dentro a uno sgabuzzino dove trovò la barella di un vecchio agonizzante. James pregò non schiattasse in quel momento. Dalla porta aperta intravide la visione dell’angelo che lo aveva superato con intercedere sinuoso, mentre era ancora in attesa di entrare attraverso la porta a vetri. Fu un istante e scomparve. Cercò di alzarsi sui gomiti e provare a seguirla con lo sguardo ma il dolore fu intenso e il vecchietto, di fianco a lui, iniziò a rantolare. Oddio ci siamo! Poi il respiro tornò normale. 

Il medico robusto dall’alito pesante lo informò che sarebbe dovuto andare in ortopedia dove gli avrebbero messo un gesso e, verso sera, sarebbe stato dimesso. Prognosi di 40 giorni senza carico. Senza carico che? Avrebbe voluto chiedere, ma non osò.

Ancora attesa. Ancora sguardo perso alla ricerca dell’angelo. Ancora dolore.

Questa volta la dico la parolaccia, cazzo! E la disse: “Cazzooooo!” Fu proprio mentre pronunciava il suo sproloquio che entrò la donna del mistero, l’angelo che lo aveva folgorato tra i vecchietti del PS e, la prima cosa che sentì quella donna, fu la sua parolaccia. Senza ritegno. 

“Sento che le cose vanno bene.” Disse con un sorriso.

“Mi scusi.” La voce di James uscì contratta come uno sforzo.

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