Quaranta giorni di riposo forzato. La frattura alla gamba gli aveva regalato quaranta giorni di dolce far niente. Persino la sua ernia iatale era andata in vacanza, se ne era quasi dimenticato. Inoltre, tutte le sere, intorno alle 21, la dottoressa Lorenzi passava da lui per l’iniezione di eparina. La sua pancia era diventata blu come il cielo in una giornata plumbea e il dolore di quell’ago che si infilava nella cute era davvero insopportabile ma la visione di Jennifer placava qualunque sofferenza. Al 40esimo giorno il gesso venne rimosso, al 41esimo giorno, provvisto ancora di stampella e con un piede gonfio come una palla da rugby, James ritornò al lavoro.
Il Commissario Busti Corsetti si diede alla macchia, stufo marcio di aver trascorso tutto quel tempo a lavorare come un asino senza demandare alcunché al suo sottoposto. La scrivania di Calamaretti sembrava l’archivio comunale dopo un trasloco: montagne di cartelline, posate l’una sull’altra, formavano un grattacielo di scartoffie. James sospirò. A metà del suo sospiro entrò il giovane appuntato Santino Quagliarulo: “Ciao James, come stai?”
Qualcuno gentile? Uhm, aveva dei sospetti, infatti:
“Il Commissario ha detto che devi andare alla macelleria Fonti Sospiri. Hanno ucciso il proprietario.”
James lo guardò come avrebbe guardato un licaone nella fontana di Trevi e, simultaneamente, avvertì un ruggito alla bocca dello stomaco: era la sua ernia iatale che si stava ribellando. Altro sospiro, prese la stampella e si avviò.
La storica macelleria Fonti Sospiri era gestita da Gaetano Sospiri, detto Tano, un uomo robusto come un toro e scurrile come non se ne erano mai sentiti. Alle sue clienti propinava sconce barzellette a sfondo sessuale e ci andava giù piuttosto duro. Più loro arrossivano, più lui ci dava dentro. Aveva comunque una numerosa clientela visto che era l’unica macelleria in zona e serviva ben 4 paesi circostanti. Gli affari andavano a gonfie vele per Tano Sospiri.
Quando James arrivò sul luogo del delitto si trovò davanti una scena raccapricciante: il signor Tano era appeso a uno dei ganci della cella frigorifera in mezzo ai corpi senza vita di bovini e suini. L’ernia appisolata di James urlò: “BASTA!!!” simultaneamente a Calamaretti.
La moglie del Sospiri, terza moglie, si chiamava Fatma Hassanj, chiare origini straniere, urlava anche lei, trattenuta da un paio di lavoranti del Sospiri. James ispezionò la scena del crimine, mentre il cadavere del macellaio veniva tirato giù dal gancio. Che situazione di… sterco! Pensò James. Al contempo dei suoi contenuti e scurrili pensieri, arrivarono i cinque fratelli di Fatma.
“Un uomo di merda è morto, za’?”
“Pezzo di maiale putrefatto, za’!”
“Vecchio bavoso, stronzo di un… za’”
“EBBASTA!” urlò James, proprio EBBASTA tutto attaccato. I cinque fratelli di Fatma Hassani si zittirono. Non conoscevano bene la lingua italiana ma erano molto ferrati nel rendere l’idea di ciò che pensavano su Gaetano Sospiri. James si rese conto che, durante i loro coloriti improperi, l’accento dei 5 fratelli più che dal Marocco sembrava provenire dalla Barbagia. Indagò. In effetti, dopo qualche telefonata al Comune di Nuoro e al Comando dei Carabinieri della stessa città, James scoprì che Alì, Mohamed, Assan, Abdul e Karim Hassani altri non erano che Alberto, Mario, Astolfo, Ulderico e Gavino Gau; noti pastori della già sopra citata zona geografica. Il nome di Fatma era in realtà Filomena Gau. La donna in questione era stata costretta dai fratelli a sedurre e sposare l’ignaro Tano Sospiri per questioni economiche. Tutta una questione di interesse: i 5 fratelli Gau avevano fatto credere al Sospiri di provenire dal Marocco dove, più o meno, su loro idea, se guardavi una donna e pensavi anche solo: Che bel culo… eri obbligato a sposarla. Detto fatto. Una volta sedotto il macellaio, Filomena, alias Fatma, lo aveva costretto a sposarla e, con l’aiuto dei 5 fratelli, continuava a ricattarlo spillando denaro dalle casse del negozio. Il Sospiri, stufo marcio della situazione, si era ribellato e aveva minacciato di denunciare il fattaccio; la notte seguente i fratelli Gau lo avevano appeso al gancio insieme al resto della merce.
Che volessero venderlo a tranci? Pensò James. Avrebbe potuto anche essere. Che situazione di sterco! Continuò a pensare il vice ispettore. Quanto gli mancava Jenny!
“Risolviamo!” Disse con un tono deciso che neppure la Annunziata della mezz’ora e passa avrebbe saputo dire meglio “Altro che Marocco, altro che Hassani, Fatma e compagnia cantando… Voi siete la famigerata banda Gau! Ho saputo che vi stanno cercando in tutto il Paese ma nulla sfugge al vice ispettore Calamaretti.”
Poi, rivolto all’appuntato: “Manette ai polsi e faccia in modo di trasmettere la notizia a tutti i Commissariati d’Italia che il vice ispettore James Calamaretti ha catturato la banda dei maiali.”
Un altro caso era stato risolto. Un tantino claudicante, se ne tornò verso l’auto dei Carabinieri e si augurò che per tornare a casa mettessero la sirena di emergenza. Non lo fecero. La grande consolazione di quella funesta giornata sarebbe stata l’attesa della dottoressa Lorenzi: non gli avrebbe fatto l’iniezione di eparina ma gli aveva promesso qualche ora di svago.
A buon intenditore, poche parole.