Il dottor Antonio Petecchia ogni mattina si fa il giro del reparto per osservare le cosce delle impiegate.
Attraversa il lungo salone a passo lento lungo la corsia centrale tra le due file di scrivanie.
Molte sono distratte e accavallano le gambe, lui si gode lo spettacolo mattutino.
Se il giro è soddisfacente si chiude nel suo cesso riservato e completa l'opera.
Un paio che hanno notato le manovre, hanno cominciato a usare sul lavoro i pantaloni.
Tra le tante ha preso di mira Roberta, quando gli porta a firmare le pratiche non perde l'occasione di strusciarsi addosso.
Roberta cerca di mantenerlo a distanza, Petecchia è fifone e non fa mai gesti troppo compromettenti.
Resta il fatto che è fastidioso e quando arriva a portata di olfatto è fetido, un odore nauseabondo, un mix di pelle grassa poco lavata, di un acre dopobarba alla menta e dello spesso strato di forfora. Spettegola su chi resiste alle sue offerte allusive, si accontenta di poco, solo qualche toccata mordi e fuggi.
Roberta è stanca di questa continua sotterranea battaglia quotidiana, una mattina conoscendo la profonda superstizione di Petecchia, durante la sua passeggiata tra le scrivanie prende un fazzoletto, lo arrotola a forma di pupazzo, comincia a conficcarvi spilli guardandolo fisso negli occhi.
Petecchia si avvede della manovra, si ferma di colpo, si porta le mani alla fronte e scappa nella sua stanza. Quella mattina niente visita al cesso.
Ma da allora ignorò Roberta e smise di tormentarla.
Continuò con la promenade mattutina a contemplare le cosce, fin quando lo trovarono cadavere seduto sulla tazza del cesso: qualcuno commentò: giochi di mano giochi di villano.