“The bats have left the bell tower
The victims have been bled
Red velvet lines the black box”
Bela Lugosi's dead
Bauhaus
Allungo del Gin Fizz on the rocks con una Monster energy che mi scende giù nel duodeno ulcerato come acquaragia.
La ragazza al tavolo di fianco pasteggia tra le labbra un Pedroni all’anice che sbuffa in cumulo nembi aromatici ciccando con mioclonie a scatto, ad ogni boccata.
Sembra profumare di fresco: di Acqua di Giò.
Da quando sono tornato riconosco a distanza gli odori delle persone e delle cose, e riesco a dividerli tra chi profuma, chi è neutro, chi tanfa. Sono una cartina di tornasole con un olfatto felino.
Le foglie gialle venate di rosso sanguinaccio svolazzano tra i tavolini, gli alberi sono nudi ed anoressici, credo sia autunno anche se ne sono passati tanti dall’ultimo che ricordi.
E’ la malinconia della decadenza che dovrebbe riportarmi a galla vecchi ricordi che però non ricordo più.
In questo periodo dell’anno in cui i mammiferi ed i rettiliani cadono in ipnotiche letargie, gli insetti e i saprofiti prendono vita, tramano nel terriccio umido e putrefatto e compiono il miracolo della transustanziazione della carne in terra.
Sono trascorsi due mesi esatti dalla mia resurrezione, ed io mi sento un Lazzaro mezzo morto che però si alza, si stira le membra e deambula.
Dopo una passeggiata al mercato delle spezie imbevuto ed inebriato degli aromi dolciastri medio orientali, mi fermo davanti un Doner Kebab ad osservare il curdo sciabolatore dissezionare quell’alveare di carne di pecora. Più le osservo, più ci rivedo le mie interiora.
A quel pensiero mi passa l’appetito, pago e lascio la pecora con insalata e maionese al gatto del vicolo.
Mi cerco nelle tasche e trovo un santino sgualcito di Santa Rita: la Santa dei casi impossibili, un accendino bic scolorito, ed un biglietto piegato con su scritto “Bon Voyage”.
In ogni caso il fatto di sentirmi un essere vivo e respirante, come un assorbente asciutto, supera la mia angoscia di obliarmi.
Non è proprio nei momenti in si sta veramente bene che ci si dimentica chi si è?
Sento le campane a festa, deve essere Domenica.
La gente gira senza meta, siede ai tavoli dei bar per caffe’tardivi o prematuri aperitivi.
E’ un ottobrata calda che segna una nuova primavera della mia vita.
Mi incammino verso la roulotte abbandonata all’interno di un camping dismesso e deserto già da un paio di mesi.
I proprietaridevono aver subaffittato questo vecchio rottame a terzi perchè probabilmente non potevano permettersi un bungalow o un caravan con tutti i comfort.
Ma questa per me è la comfort zone ideale, ai margini della merdopoli, con questo vento carico di i-odio salmastro che fa sbattere la porta malmessa della roulotte all’unisono col mio cuore, rinvigorito come una verga irrorata di candida fungina.
Nelle serate terse mi sporgo dalla finestrella aperta sotto la luce dell’ultimo sole e mi cucino una lisca di spigola o un trancio di tonno, rubato ai gabbiani ed ai cani randagi.
Col bisturi mi piace incidere i bulbi oculari, dissezionarli dalle orbite . Ho la mano ferma e precisa del chirurgo, anzi, azzardo: ho la fredda concentrazione di un medico legale.
La mano mi è rimasta sicura, nonostante i tremori essenziali dovuti al peggior alcool e al depatkin, un farmaco anticonvulsivante e stabilizzatore dell’umore.
Mi ritrovo a sentirmi un Dio pagano ma non so da dove e soprattutto come ricominciare.
Esiste qualche forma di vita per quelli come me? Qualcosa che vada oltre la mera sopravvivenza da clochard ai margini della notte?
Mi faccio un altro shampoo, uno dei tanti, troppi della giornata. Se avessi un contratto dell’acqua mi arriverebbe una bolletta dell’acqua da capogiro, neanche fossi una spa termale a 5 stars.
A volte durante la notte, non appena sento salire su dalle lenzuola quel lezzo dolciastro di rancida cadaverina corro nell’angusto box doccia, prendo a strofinarmi il corpo, fino a scorticarmi e riempirmi di piaghe come in un calvario dell’igiene: sanguinare per non marcire.
A questo punto gli affetti da doc (disturbo ossessivo compulsivo) sono dei miei pari: fratelli di disturbo.
Il calvario dell’igiene consta di 7 stazioni:
Prima stazione: mi insapono tutto il corpo, compresi i capelli sottili, col sapone di marsiglia
Seconda stazione: Risciacquo
Terza stazione: mi cospargo di olio di semi per epurare eventuali parassiti
Quarta stazione: Mi insapono di nuovo col sapone di marsiglia
Quinta stazione: mi sbuffo borotalco ovunque soprattutto sulle zone follicolari e sul derma atopico e piagato
Sesta stazione: Mi spruzzo della Colonia
Settima Stazione: Mi sdraio fragrante sul materasso imbottito di foglie di ginepro, chiudo gli occhi e mi masturbo.
Domenica prossima sarà la più bella di tutti i festivi perché verrà una domestica, intorno alle 19. Gli era rimasto disponibile solo quell’orario. Non male eh?
fine I parte