Dalla casa dei Neri alla fermata del tram ci sono esattamente quattrocentottanta passi. Franca, quando esce per andare a prendere la sua lezione dal maestro Bottai, li conta ogni volta, ed ultimamente ha iniziato a dividerli in tanti raggruppamenti riferiti ai settori che si trova ad attraversare: il passaggio pedonale della strada principale, il marciapiede alberato dal negozio del rigattiere fino all’angolo, il tratto dalla casa gialla fino al giardinetto, e così via, in maniera da avere dei riferimenti abbastanza precisi ai quali affidare i propri pensieri. Ognuno di questi segmenti definiti sembra racchiudere nella sua fantasia un motivo musicale, cadenzato dalla sua camminata quasi costante, perciò, nella sua mente, è come se stesse suonando sulla tastiera del proprio pianoforte qualcosa che va ad inserirsi ogni volta nella struttura portante di un brano completo, con delle variazioni melodiche e armoniche esattamente in prossimità di ogni limite che ha stabilito, fino a concludersi in un grande accordo finale una volta raggiunta la pensilina dove in genere si trovano oltre lei delle altre persone, nell'attesa ognuna del proprio mezzo pubblico, riuscendo ad utilizzare cosi un numero di battute anche abbastanza preciso. Spesso quei motivetti Franca lì ritrova anche in seguito quando ad esempio si mette a letto nella sua cameretta, lasciando risuonare nella testa quelle stesse note che ha immaginato di ascoltare nel tragitto durante la giornata, e così ancora le pare di affrontare quel percorso, camminare col suo passo svelto lungo la via che in qualche modo riesce a giungere fino alla conclusione dei suoi sogni. Quella musica, avanti che lei cada nel suo sonno letargico, trasporta gli ascoltatori della fermata tramviaria in una dimensione esoterica, ed è come se ognuno di loro avesse seguito ogni nota fin dall'inizio del suo percorso, fruendo di ogni passaggio e di tutte le variazioni dettate dalla stessa via. Ad un tratto, quando li ripensa, i suoi passi sopra al selciato stradale non esistono più, e c'è soltanto una enorme tastiera di pianoforte che vola con lei sopra le teste di tutti, i pedoni, i negozianti sulla soglia dei loro esercizi commerciali, gli autisti dentro le auto con i finestrini abbassati, le mamme coi bambini nei giardinetti, e le sue braccia e le mani si allungano a dismisura per arrivare ai tasti più lontani da sé, fino a permettere la risonanza di intere ottave di sovracuti distantissime alla sua destra, e anche quelle dei suoni più gravi alla sua sinistra, tanto che le sequenze delle dodici note sembrano come moltiplicarsi in orizzontale, fino a formare una specie di coppia di ali bianche e nere buone per un piccolo aereo delicato e vibrante, mosso da un motore musicale ovviamente ideato da Franca.
Il maestro Bottai osserva le solite partiture di Schumann davanti a sé, lei si siede con calma davanti al bel pianoforte a mezza coda che troneggia nello studio, tira un profondo respiro e poi attacca con tutta la sua solita determinazione. Ma qualcosa la distrae dopo la decima misura, in quel pomeriggio tranquillo che pare scorrere nella finestra come un cielo azzurro e senza nuvole, e forse è soltanto la consapevolezza che alla pagina seguente della scrittura musicale non c'è alcun intervallo che non sia stato già usato nelle battute precedenti, come una specie di stasi nell'ambito specifico della tonalità, forse quel senso di inutile attività nel suonare una musica del genere, nella considerazione che non si profili mai, in quella così come in altre Sonate similari, una vera e propria risoluzione radicale, tanto che a lei tutto ciò all’improvviso pare qualcosa che non riesce a portare alla fine proprio da alcuna parte. Il maestro avverte immediatamente la sua incertezza, le chiede quasi con ironia, interrompendola per un momento, se per caso volesse esercitarsi su qualcos'altro, e Franca senza distogliere gli occhi dalla tastiera, mette lì all'improvviso un accordo di settima diminuita che, pur in parte scontato, appare comunque già più aperto, come un ventaglio spalancato di differenti possibilità. Il maestro pare comprendere il bisogno della sua allieva, e addirittura per un momento non si sente forse all'altezza di affrontare una variazione di questo genere, però immaginando di impersonare la conservazione di fronte al bisogno del nuovo che incalza, si piega senza troppi indugi all'indicazione così suggerita.
<<Allora signorina, su cosa vorrebbe quindi esercitarsi?>>, le fa con i suoi modi eleganti e quasi d’altra epoca.
<<Forse questo, magari>>, le dice ancora, mettendole sotto agli occhi, quasi per una vera e propria sfida, una trascrizione per pianoforte solo del Pierrot Lunaire di Schonberg.
<<Non saprei>>, dice Franca adesso con sincerità, <<forse devo soltanto mettere a punto le mie piccole aspirazioni>>.
Bruno Magnolfi