C’è una piccola saletta con delle macchine refrigeranti e luminose che distribuiscono caffè, bibite, birra, ed anche qualche panino già confezionato in certe buste di plastica, giù nel piccolo capannone di periferia dove sono ubicate le quattro sale prova di dimensioni differenti tra loro, ed attrezzate ognuna in un modo diverso. Spesso i ragazzi stazionano seduti là dentro almeno per un po’ di tempo, prima di decidere qualcosa sul loro futuro, sulle idee che hanno già, o anche su quelle di cui hanno sentito parlare da qualcuno, oppure semplicemente per chiarire agli altri la propria opinione su qualcosa che hanno già potuto ascoltare, oppure su altre cose di cui invece l’ascolto sta soltanto nei loro più reconditi desideri. Certe volte in quella stanza si prendono delle decisioni importanti rimanendo mezzo sdraiati su quelle sedie di plastica, e molti avvertono persino un piccolo brivido mente spiegano la loro idea di musica, di brano, o di quel semplice passaggio all’interno di un pezzo che cercano con fatica di mettere insieme, qualcosa magari da sottolineare con uno strumento oppure con l’altro. Alla prova dei fatti tutto suona sempre un po’ differente da come è stato precedentemente pensato, ma l’importante è saper riconoscere l’effetto migliore che provoca tutto l’insieme, quello più coerente con il resto e con lo stile del gruppo.
Le pareti delle sale sono tutte naturalmente foderate in materiale fonoassorbente, come ad evitare che il suono possa uscire da là dentro e disperdersi tra la gente o chissà dove, e questo senso di pressione pneumatica che si respira in mezzo ai vari strumenti musicali, tra le aste dei microfoni, con i cavi collegati in mezzo ai piedi, e i numerosi amplificatori allineati sulle pareti, mostra un aspetto quasi da cospirazione segreta, come un pentolone adagiato su un fuoco di legna all’interno del quale far ribollire con calma degli ingredienti improbabili e qualche volta persino ripugnanti. Difficile spesso equilibrare timbri toni e volumi, eppure la sensibilità individuale di ogni componente del gruppo molte volte chiarisce la cosa migliore da fare, fino ad ottenere un impasto abbastanza omogeneo, un fluire di note e di accordi che stimolano e crescono nel loro mostrarsi e procedere, fino ad ottenere qualche volta quel senso finale che magari convince e gratifica, spingendo naturalmente a migliorare ancora qualcosa, qualche ulteriore dettaglio, qualche piccolo elemento che ancora senz’altro va messo a punto dopo l’ultima prova.
Poi c’è la tecnica di ognuno sul proprio strumento, certe volte acquisita in maniera del tutto autodidattica, e in altri casi al contrario imparata con l’ausilio di qualche corso specifico o durante delle lezioni impartite da nomi importanti nel campo di ciò che si è imparato a suonare; ma in ogni caso soltanto quando qualcuno non ha molte idee da mettere a disposizione del suono, ecco che inevitabilmente va a trincerarsi dietro la propria capacità di maneggiare con destrezza l’arnese che ha scelto prima o dopo per produrre qualcosa di musicale. Ognuno bene o male si ritiene un piccolo virtuoso in quello che suona, ed il bisogno costante di non rimanere stritolato sotto ai suoni degli altri, lo porta certe volte ad esagerare, nel proprio infantile tentativo di mettersi in mostra. Lorenzo invece è un ragazzo timido, anche se fa il batterista con un grande entusiasmo ed un certo talento, dopo aver ereditato da suo fratello maggiore, purtroppo volato all’estero tre anni fa per ragioni di lavoro, sia lo strumento completo, che i rudimenti tecnici per iniziare a suonarlo, anche se il suo tentativo costante, avanti a tutto il resto, è stato fino adesso quello di acquisire il più possibile dei metodi pratici che migliorino la sua padronanza su piatti e tamburi, nel tentativo di superare ogni volta gli impedimenti di esecuzione che si trova di fronte con gli altri ragazzi del gruppo. Loro sono in quattro e cercano di fare musica acustica, del jazz di ricerca che si muova su basi ritmiche molto aggiornate, ma sviluppandosi per modalità, cioè non seguendo l’armonia in una maniera tradizionale, con i classici modi maggiore e minore, bensì lavorando su delle scale prefissate e con dei nomi già definiti, che spesso permettono una libertà ben più consistente, ed un suono finale maggiormente aspro ed interessante. Loro provano da quasi un anno, ma non si sono dati mai alcun traguardo da raggiungere in fretta, vanno avanti soltanto per la loro passione, e almeno per adesso sembra sufficiente a tutti e quattro mettere insieme dei brani propri, pensati e studiati al massimo livello, che abbiano almeno il pregio di non assomigliare mai troppo ad altre cose del genere.
Bruno Magnolfi