La preghiera prima della cena era finita da poco e stava iniziando il pasto: non granché, solo il repulisti della dispensa.
Le suore erano sole nell'antico convento: il Parroco da qualche settimana non veniva più nemmeno per la Messa e di visitatori non se ne vedevano da un pezzo.
"Questa sera dobbiamo cantare fortissimo" aveva detto la superiora, una donna alta e secca sempre molto pratica nelle sue espressioni, e tutte avevano intonato un'altra volta il De Profundis senza essersi messe d'accordo, come se fosse naturale.
Quindici giorni prima era ripassato l'avvocato della Curia, un quarantenne con un bel pancione strizzato nella Lacoste verde bottiglia, le dita gialle di nicotina e i capelli un po' unti tenuti troppo lunghi sulla nuca.
Il caffè e i soliti dolcetti non erano serviti a rabbonirlo.
“Il Consiglio Pastorale Diocesano ha deciso: siete troppo poche e il convento deve essere venduto”.
“Siamo qui da mille anni e qualche novizia arriva ancora… non ci sarebbe nessun convento nel raggio di cento chilometri… se non preghiamo noi, chi prega?”
Era stato tutto inutile. Il Convento doveva chiudere.
Le sorelle (tra loro si chiamavano le “ragazze”) avevano insistito, implorato, fatto petizioni e appelli su Facebook con colonne sonore bellissime (anche qualche pezzo rap milanese scovato dalla nipote di una suora di Corsico) e persino pregato e cantato tantissimo (anche se la superiora in cuor suo preferiva i mezzi terreni).
“L'ordine dovrà essere sciolto, naturalmente”, aveva detto l'avvocato alzando un po' la voce, “alle sorelle più giovani sarà trovata idonea collocazione”. Delle più vecchie non aveva detto nulla: forse pensava a una casa di riposo?
Ormai era un anno che la storia andava avanti e si era capito benissimo dove la Curia andava a parare: le catene alberghiere avrebbero fatto a gara per comprare tutto, orto e vigna compresi: al posto della cappella una bella spa e invece del refettorio un ristorante biologico. L'orto? Utile a coltivare le erbe per le creme viso e corpo.
L'avvocato doveva essere dell'affare: parlava un po' troppo delle sue opere di bene per essere uno pulito.
Suor Francesca era la più giovane: una filippina minuta con la voce bellissima che guidava sempre il coro.
Proprio all'inizio della cena aveva chiesto la parola con un po' di timidezza.
"Ragazze", aveva detto, “ma noi abbiamo veramente rivolto l'anima al Signore? O abbiamo pregato tanto per fare? Forse abbiamo smesso di sperare ed è per questo che ci siamo smarrite? Io posso anche tornare nelle Filippine, tutte possiamo andare da qualche parte… ma questo posto non può restare senza di noi", aveva detto avvolgendo con lo sguardo l'antico soffitto e l'immagine della Vergine in fondo alla sala.
La Superiora, che di solito voleva avere l'ultima parola, aveva taciuto e tutte avevano mangiato in silenzio e si erano coricate dopo una breve preghiera.
La mattina dopo sono arrivati i geometri della Curia con l'Avvocato.
Ma il portone era chiuso e le finestre del convento barricate con i materassi.
Nessuno rispondeva al campanello.
Sulla facciata c’era uno striscione con scritto “Dòmine, exàudi vocem meam”.
Con le uova delle galline e i pomodori dell'orto si poteva andare avanti molto…