Vivo su una spiaggia, quale, e dove si trovi non lo so.. come ci sono arrivato, quando e perché, non lo ricordo.. e non mi interessa. Ho costruito un capanno con canne di bambù - all’interno ho sistemato un comodo giaciglio per la notte, una dispensa, e fuori, ho allestito una sorta di rudimentale cucina da campo. Alle spalle del capanno è tutta una distesa di agave blu a perdita d’occhio! Uno spettacolo vero! Ho ricordato i miei trascorsi in Messico, dove ho appreso l’arte di produrre tequila dal cuore dell’agave. Così, un giorno, non so quale e non mi interessa, mi sono messo di buona lena ha distillare il succo precedentemente estratto, con un alambicco che ho trovato nella zona. Cosa ci facesse un alambicco da queste parti non ne ho proprio idea.. e neanche mi interessa saperlo.
A volte mi sembra di vedere in lontananza la sagoma di una nave che solca il cielo, attraversando onde di nuvole schiumanti, come se il mare si fosse trasferito in cielo. Forse è un’allucinazione, un miraggio.. ma che sia un’illusione o la realtà non mi interessa.. mi piace immaginare. Ogni volta dopo avere cenato, mi accomodo sull’amaca sorseggiando la mia asso tequila, gustandomi nella pace il chiarore avvolgente della luna piena e il suo riflesso sul mare. Ho notato che qui la luna è sempre piena, ferma, non ne conosco il motivo, e non mi interessa conoscerlo. E non ho mai visto un sole che sorga ad est e tramonti ad est. Da queste parti è così. A me comunque piace.. e ne apprezzo la magia.
Dimenticavo.. sul lato destro del capanno, a circa una ventina di metri, ho fatto la scoperta di un grande orto, meglio dire, un brolo, il tutto ben recintato da una folta siete di nocciolo. Perché li ci fosse un orto non lo posso immaginare, ma conteneva ogni ben di dio, dagli ortaggi agli alberi da frutto, persino piante il tabacco, e altre delle quali non ne conoscevo l’esistenza. Al centro è stato creato un pozzo, non troppo profondo, dal quale attingere acqua limpida e fresca da un particolare retrogusto di vaniglia. C’erano arance, limoni, mandarini, lime, melograni, un noce, due nespoli, e un’enorme palma da datteri che svettava alta nel cielo come l’albero di un grande veliero. Tutto ciò di cui avevo bisogno e desideravo, era li, in quel lussureggiante pezzo di terra! Sulla parte posteriore di un piccolo ricovero attrezzi in legno di faggio, esiste una piccola aiuola, dove veniva coltivato lo zenzero. La scoperta mi fece brillare gli occhi, sapendo che lo avrei aggiunto alla tequila con due fettine di lime. Potevo contare anche su un buon numero di attrezzi per qualsiasi lavoro e necessità. Nel casotto degli attrezzi ho trovato coltelli di tutti i tipi, perfettamente affilati. Io amo i coltelli.. ricordo di averne avuti molti… dove e quando non lo so.. ma tanto non mi interessa.
Adesso che ci penso, non ho mai visto anima viva passare da queste parti, che sia un uomo, una donna, un bambino, un cane, una lepre o altro - solo uccelli che volano in stormo emettendo suoni che non riconosco.. e che ripetono sempre e ciclicamente gli stessi percorsi aerei. Potrebbero essere corvi, cornacchie, forse taccole.. o una specie che non conosco. Ma è bellissimo vederli volare, svettare verso il cielo con una velocità inusuale, per poi precipitare come missili puntando il mare, e scomparire fra i flutti. Che cosa strana.. e al tempo stesso stupefacente.
Un giorno, però, sulla cima di una duna relativamente distante dal capanno, ho avvistato un tipo all’apparenza vecchio che si divertiva a fare capriole lungo la sua china, con un’agilità ascrivibile ad un ventenne. Ne rimasi sorpreso, e fui felice di quell’inaspettata vision! Non era un’allucinazione, era reale. Perché il tipo, dopo qualche minuto dalla sua esibizione, si avvicinò danzante e sorridente per poi sedersi sulla panca di legno di olmo, limitrofa al tavolo di castagno. Io non proferii parola, la mia emozione era forte, e ben si capiva che il tipo non aveva alcuna intenzione di colloquiare, di chiedere, di sapere. Ci scambiavamo solo continui sorrisi di gioia, e qualche stupido passo di danza per liberare al vento ogni residuo imbarazzo formale e circostanziale. Così mi precipitai a prendere due bicchieri… poi tagliuzzai dello zenzero, affettai il lime e mescolai il tutto con la tequila che avevo già versato. Mancava solo il ghiaccio! Il ghiaccio?? Si avevo il ghiaccio, pezzi di ghiaccio, che si formavano miracolosamente all’interno di una profonda grotta naturale a pochi metri difronte al capanno. Una robusta saracinesca in ferro nascondeva l’ingresso a quel cunicolo che portava all’interno di quella piccola e profonda caverna! Con un martello frantumai il blocco di ghiaccio rubato alla provvidenza, e ne misi alcuni pezzi nei due bicchieri. Tutto era pronto per un brindisi di tutto rispetto. Poi vidi il mio ospite ritrarre il sorriso, drizzarsi sulla schiena, e infilare la mano destra in una tasca all’interno della sua giacca di fustagno - ne estrasse alcune foglioline di menta profumatissima, che distribuì nei due voluminosi bicchieri. Mi guardò dritto negli occhi ed esplose in una fragorosa risata. Rassicurato, gli feci eco ridendo a mia volta come un folle in preda ad una felicità incontenibile. Brindammo, a cosa non si sa, ma brindammo in continuazione fino all’ultimo goccio di quel sublime nettare. Da lontano mi appariva vecchio.. fino a quel momento lo credevo, ma visto da vicino, osservando i suoi profondi occhi di un azzurro cobalto, la sua pelle e i lineamenti dolci del viso, la sua età si faceva indefinibile. Sicuramente era uno stregone, uno di quei tipi speciali in grado di mutare il loro aspetto. Mi ricordava uno di quegli sciamani, un indiano yaqui, per l’esattezza, che avevo incontrato in Messico, e con il quale avevo fatto esperienze di apprendistato per un periodo indefinito. Di quale periodo si tratti, mi è del tutto oscuro.. del resto che importanza ha. Ricordo che qualcuno affermava che il tempo è relativo. Su questa spiaggia lo è davvero. Ed è piacevole viverlo!
Dal cassetto del tavolo in castagno presi uno dei miei toscani, lo spezzai in due con un gesto deciso e gliene porsi la metà. Mi ringraziò con un leggero cenno del capo; lo prese e se lo infilò in bocca per inumidirlo. Poi rovistò nelle tasche alla ricerca di un fiammifero che, dopo averlo trovato, si strofinò sui denti fino ad accenderlo. Mi guardò fisso con i suoi occhi dardeggianti, tirò un lungo respiro, e scoppio in una risata talmente potente, fragorosa e contagiosa, che sembrava che lo stesso universo ridesse con noi.
Quella sera, un’onda raggiunse il limite del mio capanno, e dalla schiuma dell’acqua si materializzò una sirena che sosteneva fra le mani una grande conchiglia bianca, al cui interno brillavano alla luce della luna undici meravigliose perle. Anche gli occhi della sirena apparivano come due perle, con piccoli raggi di sole che lampeggiavano dalle ipnotiche pupille.