Non mi faceva proprio impazzire l'idea di essere nata in quell'epoca. Non vedevo tutte quelle grandi cose che descrivevano dell'Inghilterra; questa importantissima rivoluzione industriale, la quale ci aveva ovviamente reso un paese molto più moderno rispetto ai secoli precedenti. 

Io avevo appena quindici anni, età in cui le mie idee cominciarono veramente a prendere forma, e vivevo a Londra. Mio padre, a cui volevo molto bene non la pensava diversamente da me, eppure accettava la vita che si era ritrovato. Dato che io ero la più piccola era certamente logico che fossi stata io quella influenzata da queste idee; mio padre ne parlava eccome! 

Ancora oggi non ricordo bene mia madre, e nemmeno il mio fratellino (sembrava fosse morto a soli due anni, ma credo che non mi dissero mai come e perché accadde). Fu mio padre a decidere di chiamarmi Emma, oltre ciò non riesco ad andare oltre queste brevi descrizioni. 

Lui era un pittore, e mi trasmise la stessa dote, ma a me non importava nemmeno di questo. Oggi se potessi tornare indietro avrei forse cambiato le circostanze. 

L'età Vittoriana non era così facile, ed io non mi trovavo praticamente d'accordo con nulla. Ero solita ascoltare interminabili discorsi d'uomini sul giusto e sbagliato, decidendo perfino per le fasce più deboli della società, ma io vedevo tutto con i miei occhi: bambini spazzacamini, donne per strada ed orfanotrofi. 

Noi però stavamo bene e potevo passare il mio tempo tra disegni, note scritte, racconti, passeggiate in carrozza e con quella che sapevo essere la condizione finale di ogni donna per bene dell'età Vittoriana: sposarsi. 

Io, Emma, maledicevo quella situazione e più entravo in contatto con gli uomini, più detestavo il loro saper tutto. Non tutti erano così, ma le storie di quella che nei secoli divenne la famosissima Jane Austen, non erano ancora del tutto veritiere. Lei descriveva le donne e la società, gli uomini che forse tutti eravamo, ma erano per l'appunto storie. A quei tempi io la vedevo così. 

Mio padre d'altro canto mi portava tra i saloni di pittori e artisti, voleva farmi entrare in qualche circolo, ma non era affatto facile. Lui ci teneva a me e suppongo volesse che riuscissi ad arrivare dove lui non aveva potuto. Forse, però, ripensandoci oggi, dipendeva anche dalla mia mancanza di concentrazione dovuta ad una procrastinazione dei miei pensieri. L'idea del matrimonio mi terrorizzava: lo volevo e allo stesso tempo lo rifiutavo. Accettavo e odiavo la situazione, eppure ero una romantica “senza speranza." 

Era così che seguivano le mie giornate, poteva essere stata l'indecisione a bloccarmi dal perseguire i miei propositi? Oppure il pensiero di ciò che poteva essere giusto o accettato nella società che tutti noi avevamo in qualche modo contribuito a creare? 

La Emma di quel periodo non saprebbe dare una risposta. 

Ho ancora le idee confuse e frammenti di pensieri che s'intersecano nella mia mente. 

Solo un ricordo mi rimane veramente impresso poiché fu quello che cambiò la mia vita. Per sempre. 

 

Alexis.

Il nome che sconvolse la mia intera esistenza. Fu grazie a lui che compresi per la prima volta che il mio odio, o quella che poteva essere rabbia, per quella parte di mondo maschile che sentivo aver denigrato quella femminile per secoli, con Alexis non avrebbe potuto proseguire. 

Non con Alexis, il rivoluzionario.

Da allora in poi mi vengono in mente giorni allegri, spensierati, pieni di parole e talvolta anche fatti. 

Non dimentico nemmeno che mi ci volle un bel po' prima di dire il mio sì.

L'idea della “zitella” (utilizzavano spesso questo termine a quei tempi e, sebbene le facessero passare per esseri venuti da un altro mondo, credo di averne conosciuto un paio che mi stavano veramente simpatiche) un po' mi affascinava. 

Poteva quindi proprio darsi che nel fondo anche io fossi un po' rivoluzionaria, e fu forse proprio questo ciò che mi unì con colui che sarebbe diventato mio marito.

 

Alexis ed Emma. Emma ed Alexis.

Per me suonavano proprio bene. 

 

Emma. 

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