Li vidi dal soggiorno. Stavano scopando sul tavolo della nostra cucina. Mio marito e una bionda. Avrei voluto fare lo stesso con Luca, l'altro, ma per un contrattempo rincasai prima.
Mio marito era avvinghiato a quella donna da film porno: tette rifatte, trucco pesante, un serpente tatuato sul fianco e sandali fucsia. Una puttana. Due corpi che si esibiscono in un amplesso che dovrà essere perfetto. La stava fottendo con forza, senza dolcezza, senza amore. Il sesso fine a se stesso. La voltò di spalle e lei gli disse: "Sfondami mi amor". Una straniera.
Il viso di lui in fiamme, il sudore della fronte e la sabbia nel cervello. Il riflesso di un liquido sul tavolo faceva scivolare i corpi sulla lastra di marmo. Il freddo della pietra e il caldo del movimento. Li filmai con il cellulare. Le mani mi tremavano e le lacrime si confondevano tra amarezza e miseria.
Era mio marito quell'uomo?
Quando era diventato così?
Girò la bionda, l'attirò a sé, i seni gonfi e immobili di lei gli sbattevano contro il petto. Il ritmo aumentò, lui senza freni, lei incalzante, il viso contratto, le tempie che pulsano, un gemito che parte dallo stomaco e poi l'orgasmo. Di lui. Le baciò le tette. La guardò in faccia, forse per la prima volta, e le sorrise. Si scostò e lei ubbidiente si chinò a leccarlo.
"Brava. Brava. Sei una brava troia".
Con una voce da padrone aggiunse: "Ti meriti la mancia. Ora rivestiti e vattene mio amor".
Entrai in cucina.
I due spalancarono gli occhi.
Il fuoco lasciò il posto al gelo, al panico e alla vergogna. Mia. Loro.
Di ciò che ci circondava.
"Anna non è come pensi".
"Lei è ..."
"Io sono sempre ..."
"Un coglione" dissi io.
"Vattene anche tu, risparmia sulla mancia e cercati un avvocato".
Lei recuperò i vestiti da terra e scomparve con la stessa furia con cui si fece scopare. Lui si coprì, salì di sopra, sentii l'acqua della doccia scorrere, l'anta dell'armadio aprirsi, i passi nel corridoio e la porta d'ingresso chiudersi. Rimasi sola sapendo che lo ero già da anni.
La depressione sopraggiunse in modo subdolo poco dopo. La stanchezza, la voglia di isolarmi, lo stomaco chiuso, una inappetenza alla vita che fa desiderare di farla finita. Quando la domestica mi trovò in bagno svenuta chiamò il 118. Una crisi d'ansia.
Fu così che conobbi la dottoressa Valenti, Giulia. Capelli corti, brizzolati, occhi azzurri. Bella. Dal camice spuntavano un paio di pantaloni corti che mostravano la pelle abbronzata delle caviglie nude e i mocassini inglesi. Un fisico asciutto, senza forme. Un viso pulito, un Rolex d'acciaio al polso e la fede al dito. Le raccontai la mia storia. La psicologa ascoltava, scriveva, era attenta a ciò che usciva dalle mie labbra. Avremmo iniziato una terapia, ci saremmo viste ogni settimana. Nacque amicizia. Ritrovai pace. Giulia era gentile, paterna. Sentivo le sue mani salde sul timone della mia vita.
Un pomeriggio, sedute sul morbido tappeto, l'abbracciai. Sentii il profumo della sua pelle, il corpo di lei irrigidirsi e il mio cuore schizzare fuori dal petto. Mi ritrassi. Lei mi afferrò di nuovo, mi penetrò con i suoi occhi azzurri e mi baciò. Sentii i miei capezzoli farsi duri e il ventre illanguidirsi. Desideravo Giulia. Il bacio divenne sempre più intimo e le lingue presero ad andare ovunque. I vestiti tolti di fretta, le carezze che riaccendono il desiderio e quella mano che spinge dentro di me.
Giulia mi amò fino alla mollezza delle membra. Ogni volta che ci rivedemmo.
Anche l'ultima.
La salutai con un bacio e andai al parcheggio.
Salii sulla mia Porsche.
Un braccio sul volante.
La testa stanca che ci si poggia sopra.
Il ricordo del piacere appena consumato al bar dell'ospedale.
Un tavolino d'angolo, la calma della sera, la mia gonna corta, le gambe nude, il soprabito, la sua mano in mezzo alle cosce, il perizoma spostato, il cameriere che ci fissa. La nostra danza proibita che prosegue e quell'urlo da soffocare.
Misi in moto.
Uno scooter mi superò.
Il suono di un messaggio sopraggiunse.
Il cellulare in borsa.
Rallentai.
Frugai e lo trovai.
Era di Giulia.
"Per tutte le volte che tornerai da me.
Per tutte le volte che i nostri respiri si confonderanno.
Per tutte le volte che mi godrai in faccia.
Per tutte quelle volte, io ti aspetterò.
Ti amo".
Il sorriso che affiora sulle mie labbra.
Le scene d'amore che si susseguono nella mia mente.
La mia auto che sbanda.
Il motorino che invade l'altra corsia.
Una macchina che mi si scaglia contro come un proiettile.
E l'esplosione.
Le fiamme che avvolgono il mio corpo e il pensiero di Giulia che brucia, con me.
Come una fune, avvinta da fili inestricabili, la mia vita si spezzò, senza avere il tempo di dire addio.