Poso i pennelli, ho dipinto tutta la notte ma qualcosa mi lascia insoddisfatto. Come spesso succede, un inspiegabile malessere mi turba. Lo stomaco quasi si torce dandomi quella sensazione continua di vuoto, simile a quando in auto si prende in velocità un dosso .

Che cos’è che mi rende incerto, insicuro, tanto infelice da pensare frequentemente alla morte?

Perché provo un dolore quasi fisico anche nella semplice contemplazione di cose belle come un tramonto o solo nel vedere o toccare una pietra scaldata dal sole autunnale.

Perché anche in compagnia di persone a me gradite faccio un lungo, accattivante monologo a loro rivolto…che non esce e resta tutto dentro di me.

Basta. Sono arrivato alla conclusione che per spezzare questa catena devo fare qualcosa di eclatante, tentare un gesto estremo.

Sì! E’ giunto il momento, devo farlo, devo trovare il coraggio, non devo fermarmi, niente paura, oggi lo faccio e basta!

 

Dormo poche ore, agitato. La testa è tutto un ribollire di rabbia, dolore, paura, ma quando mi sveglio sono perfettamente lucido, ho già studiato tutti i passaggi per arrivare al momento fatale. Ora bisogna prepararsi bene, lavarsi e vestirsi adeguatamente, vale a dire pantaloni neri, calzini bianchi, scarpe lucidissime, camicia grigio argento. Nella tasca posteriore dei pantaloni solo la carta d’identità, null’altro.

Scelgo un fazzoletto bianco, sì è importante che sia bianco e ben stirato, mi guardo allo specchio, una pettinata a quei capelli sempre ribelli, sono pronto, un respiro profondo e via esco di casa chiudendo l’uscio delicatamente per non farmi sentire da qualche familiare.

Chiamo l’ascensore e sento che il cuore già mi batte più forte.

Luigi, il portiere, mi saluta dalla guardiola chiedendomi

- “Dove vai tutto elegante di prima mattina?”-

Alzo le spalle e esco dal portone pensando -”Non posso certo dirtelo mi bloccheresti”-

L’idea folle mi sta dando contemporaneamente forza e grande agitazione ma indietro non tornerò, ormai ho deciso.

Sto per traversare ponte Matteotti che da una sponda all’altra del Tevere unisce il quartiere Prati al Ministero della Marina.

Per un attimo penso di farla subito qui la mia pazzia, ma poi la meta iniziale, il balcone anzi la balaustra del Pincio, mi riappare in tutta la sua magnificenza. Niente di più perfetto per un folle gesto.

Proseguo, ho già il cuore in gola che mi batte forte. L’agitazione trascina i miei passi e a piazzale Flaminio mi accorgo di avere la bocca secca, mi guardo attorno in cerca di un “Nasone”. A Roma il Nasone è una fontanella di ghisa con l’acqua che scorre continuamente da una specie di piccola proboscide. C’è un buchino a metà e se con un dito chiudi il getto principale, lo zampillo esce prepotente dal foro centrale facilitando la bevuta. Così faccio e l’acqua freschissima mi gela i denti, tre lunghi sorsi e aaahhh, un rumoroso sospiro di sollievo. Sì, ci voleva proprio!

Attraverso Porta del Popolo e sbocco nella bella piazza con l’obelisco guardato a vista dai quattro leoni di pietra che scrosciano continuamente acqua dalle fauci. Tutto è incorniciato dai due semicerchi ellittici rialzati, trono di un altro Olimpo di pietra e in alto, tra alberi secolari si affaccia la terrazza del Pincio.

Uno dei punti più alti di Roma... Lentamente mi inerpico per i tornanti che portano alle terrazze. Oh mio Dio, il cuore spero stia battendo così forte solo per la salita. Prendo le scalette per evitare la lunga strada dell’ultimo tornante ed eccomi sbucare accanto al chioschetto delle bibite fresche.

Seduta per terra, poco più in là, avvolta in una serie di stracci di tutte le tonalità del grigio, una barbona dagli occhi cerulei fissa il nulla laggiù, in un punto lontano. Seduti su una panchina un ragazzo e una ragazza si abbracciano teneramente. Ai loro piedi le cartelle scolastiche. Due poliziotti a cavallo con la lunga sciabola pendente sono chiaramente incerti se interrompere le effusioni o far finta di nulla dato che oltre me, loro e l’accattona non c’è nessuno disposto eventualmente a scandalizzarsi.

Manca ancora qualche minuto a mezzogiorno, ormai il cuore batte all’impazzata. Mi avvio al parapetto della terrazza, Roma è ai miei piedi con tutte le sue cupole. Proprio di fronte a me si staglia quella di San Pietro. Quante volte ho immaginato questo momento!

Sfilo dai pantaloni la parte posteriore della camicia facendo attenzione a estrarre solo il retro, in modo che possa quasi somigliare alla coda di un tight. Tolgo l’orologio dal polso e il documento dalla tasca, poso tutte le mie cose sul davanzale del parapetto, do un’ultima occhiata in giro… Gli studenti continuano a baciarsi, i poliziotti parlottano fra loro, uno dei cavalli gratta la ghiaia con la zampa anteriore. Passa qualche macchina, ma non si ferma. Solo la vecchina dagli occhi cerulei non guarda più il suo lontano nulla. Ora guarda me…. Le faccio un mezzo sorriso e salto a piè pari sul parapetto.

Mi volto per l’ultima volta. I due giovani ora mi guardano, lei è spaventata lui le copre gli occhi. Uno dei due poliziotti allunga un braccio verso di me gridando qualcosa che gli blocco in gola col mio segno di fermarsi e nel rigirarmi noto un mezzo sorriso sulla bocca grinzosa dell’accattona. Nei suoi occhi adesso brilla una luce nuova…

Mi volto e ritrovo la piazza sotto di me, dietro me ora c’è solo silenzio. Allargo le braccia verso il cielo, tendo le mani a palme e dita larghe, poi sussurro a me stesso -“ORA!”- …

Abbasso di scatto le braccia e con la mano sinistra indico un punto lontano sul lungotevere, con l’altra faccio segno di iniziare…. La piccola campana del Gonfalone obbedisce e comincia a battere il mezzogiorno!

La mia mano sinistra corre subito verso la sottostante Piazza del Popolo e mentre chiamo a gran voce le tre chiese, con l’altra mano do il gesto d’attacco! All’unisono rintoccano le loro campane ….

- “Forza S. Carlo! Ora S. Gioacchino!” –

Lo scampanio cresce di chiesa in chiesa. Le mie mani fluttuano nel vuoto trascinando a raccolta tutte le altre campane di Roma e con gesto plateale chiamo per ultimo S. Pietro che col suo campanone riduce il coro delle altre a musica di fondo. Ma eccomi finalmente al gran finale!

- “ORA !”- grido perentorio tendendo tutte e due le mani e dal Gianicolo partono la fumata e il colpo di cannone. Che vibrazione travolgente! La mia mano oscilla cullandola fino a spegnerla nel sussurro delle fontane.

Poi il silenzio chiamato dalle mie braccia roteate in aria come un giro d’ali e infine chiuse al petto.

Resto un attimo immobile, curvo in avanti, poi di scatto mi raddrizzo e mi volto verso lo sparuto pubblico che ha assistito alla mia folle direzione orchestrale del concerto di mezzogiorno.

Mi chino leggermente come per ricevere l’applauso.

I due giovani mi guardano sconcertati, lei ha ancora la paura negli occhi, i due poliziotti impietriti, ma dall’angolo della vecchietta dagli occhi cerulei arriva un batter di mani lieve come una carezza. Mi giro, lei sorride continuando ad applaudire sommessa.

Unica ricompensa, ma ne è valsa lo stesso la pena. Volevo superare per un giorno, anzi pochi attimi, la mia proverbiale timidezza con un gesto folle e in qualche modo la comprensione di qualcuno è arrivata.

Le sorrido anch’io e mentre lei seguita con quel suo lieve battito di mani, tiro fuori il mio fazzoletto bianco, lo apro e molto platealmente mi asciugo il sudore…. Però poi, visto che i poliziotti mi chiamano e caracollano verso di me, balzo dalla balaustra prendo le mie cose e me la svigno di corsa verso le scalette. Passo davanti alla vecchietta che non batte più le mani, i suoi occhi cerulei fissano di nuovo il lontano nulla.

Scappo guardandomi attorno. Niente è cambiato, la gente mi passa accanto ma non sa che sono stato io a dirigere il concerto di mezzogiorno, come non lo sanno a casa mia e quando arrivo in tempo per il pranzo tutto è come prima, nessuno si rende conto di quanto io sia stato eroico e abbia violentato la mia natura per uscire dal tunnel della timidezza.

Ecco perché a tavola mentre siamo seduti, comincio a fare un lungo discorso esplicativo a tutta la famiglia… Discorso che naturalmente resta dentro me. Parola per parola. Non uscirà mai. Din don din don….

 

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