Psss, dico a te; e girati almeno quando ti parlo; che fai, mi guardi male? Non me ne frega più niente, guardami pure male se vuoi, basta che mi stai a sentire; avvicinati però; non avrai mica paura? Non ti mangio, eh. La fame l'ho persa a stare dietro a te che non mi noti nemmeno. Scusa? Chi sono io, chiedi? A chi appartiene questa voce insistente? E va bene, mi rivelo: sono lo scrittore.
Voglio dire, è normale che tu non riesca a individuarmi con chiarezza; al contrario io vedo perfettamente te; eheheh, questioni di punti di vista. Uno scrittore avveduto ne tiene sempre una discreta scorta, che si sa mai. Perché non te l’ho detto subito, dici? Non potevo, capisci, è una faccenda delicata questa, molto delicata. Adesso che ci pensi non sai nemmeno come sei finito qui a parlare con me, tu che non sei nemmeno un mio lettore ( mi consideri uno sfigato cronico); nella tua testolina condizionata dai media stai già pensando a qualche oscuro complotto, perciò ti fermo subito: stop, frena, aaalt! La verità è che ti sei sentito provocato e, di riflesso, hai risposto; punto. La verità è che ho deciso di farlo io lo sporco lavoro di venire da te, visto che il contrario non era nemmeno concepibile; “troppi impegni”, dici a tutti per giustificare il fatto che non hai mai tempo. Io? Io, be’, a costo di sembrarti puerile, te lo dico chiaro e tondo: io sto dietro il tuo specchio, quello in anticamera, si; in realtà è un vetro con una pellicola incollata sopra dal tuo lato che lo fa sembrare uno specchio; sì, , quello in cui ti osservi a figura intera tutti i giorni, proprio quello, eheheh; ma no, dai, adesso non prendertela; cosa? Chiami i Carabinieri? La Polizia? E chi altri per dio? Mmm, non hai capito, proprio non hai capito: non ti sto spiando, affatto; non sono mica un guardone, un maniaco o un serial killer, nooo, e nemmeno un agente segreto; no. Se tu cominciassi una buona volta a preferire la letteratura a certi filmacci d’azione non penseresti ‘ste cose.
È che per me è fondamentale osservarti; mi serve per conoscerti, ad esempio a capire i tuoi gusti; non c’è nessuno di più difficile di te, mai che ti vada bene nulla; ci hai mai pensato veramente? Diciamo che cercare di inquadrarti è il mio scopo, ne va del mio incarico, le tue idiosincrasie, la tua incoerenza di fondo: ci hai mai pensato? A quanto sei incoerente? Un ossimoro vivente, proprio; sorpreso eh? Lo so; di questa cosa che io ti vedo e tu no; scocciato soprattutto, ecco come ti senti, chi non lo sarebbe? Io però, sarà la deformazione professionale, preferisco usare scettico; lo trovo più corretto; ecco, guarda, credo che il termine che meglio ti definisca sia questo: scettico; la cosa che ti fa sentire più te, che tiene saldo il tuo senso di identità, che ti fa sentire uomo di pura razza umana è lui, il tuo scetticismo; gli animali e gli imbecilli non sono mai scettici, sanno una cosa o non la sanno, non diffidano, non sospettano, non malpensano; non distruggono per poi dire: niente è duraturo; sei convinto che agli animali e agli imbecilli vada bene un po’ tutto, sempliciotti che non sono altro, che non badino troppo all’apparenza ma alla sostanza, mentre noi, uomini, no.
Tu, uomo, ad esempio, hai una valigetta, proprio come la mia ma in pelle, rifinita a mano e di marca nota, e mentre nella mia ci tengo penne di ogni tipo per ogni tipo di pensiero, la tua è piena di parole; ma non parole per raccontare, no: una valigetta piena di parole pratiche per affrontare ogni giorno il tuo volto allo specchio, le stanze della tua casa, i mobili che contengono, gli oggetti, per tenerli in pugno riducendoli, appunto, a pura apparenza; ecco, ciò che ti differenzia dal tuo stupido gatto sono gli oggetti (seconda parola, dopo "scettico", che rubo alla tua valigetta infilzandola con la mia penna), oggetti di cui lui può fare tranquillamente a meno,di cui lui ignora l’esistenza e l’uso e il bisogno mentre tu, uomo, no. Al gatto bastano un po’ di cibo e sonno; Tu ti svegli al mattino dopo l’ennesima notte in bianco già raggiante di no da scagliare contro il mondo come impietosi sassi; il primo contro il finto specchio, il primo contro me che ti osservo e ti analizzo nei minimi risvolti della tua anima buia; sei una macchina; o meglio, sogni di esserlo. Una fantastica macchina futurista, infallibile arma da guerra azionata dallo scoppio delle tue ire quotidiane contro tutto ciò che non si faccia oggetto ai tuoi piedi, contro tutto ciò che, anzi, ti renda oggetto, carne un po’ più commestibile per il tuo gatto, e per me, e per il buon dio che si sa, se c’è una cosa che proprio lo fa andare in bestia sono i santommaso di professione.
Ecco, un’altra differenza tra te e il tuo stupido gatto è che tu non fai colazione. Al mattino, occhiaie impennate, solo un caffè (terza parola sottratta), non importa quanto zucchero ci metti, per te è sempre troppo amaro; se non ce lo metti però è troppo dolce; intanto l’ulcera avanza al galoppo contro uno struggente tramonto di succhi gastrici giunti all’acme, come la desertificazione, a cui, dall’età di cinque anni va incontro il tuo cuore; si, il tuo cuore imbottito di sabbia, come un pupazzo inanimato. Devo ammettere che sei stato precoce nel diventare scettico; quando hai smontato il tuo primo giocattolo hai capito tutto; la vita è un guscio vuoto, ti sei detto. Ecco perché la tua valigetta è per tre quarti piena di "no". Ne fai fuori intere confezioni fino a far incendiare la lingua. Vuoi soprattutto quelli croccanti e friabili, quelli che si frantumano sotto i denti facendo cric crac, e scendono giù per la gola in milioni di briciole salate che ti ingrossano le ghiandole salivari come testicoli. Li estrapoli perlopiù da pagine di quotidiani e riviste di attualità, le tue uniche pseudoletture, le uniche capaci di attraversare il muro della tua mente e ottenerne l’interessamento; e infatti la prossima parola cui darò giusta morte è distrazione.
L’altro giorno sei inciampato nel gatto e hai dato la colpa a lui, stupido gatto, solo perché si è permesso di esistere, di passare dallo stato di peluche che fa le fusa a essere vivente e agente; dopo colazione, con solo un caffè in corpo, ti sei tagliato con il rasoio facendoti la barba; stupido rasoio; il sangue ti ha macchiato la camicia; stupido sangue, stupida camicia; tua moglie che penserà subito a una traccia di rossetto,come la volta precedente, quando la colpa l’hai data al ketchup; è da un po’ che sospetta di te, anzi, sa con certezza che quando un uomo diventa improvvisamente svagato novanta su cento ha un’altra, ma non può che far finta di nulla; sei un avvocato, troveresti il modo di rigirare la frittata a tuo favore; dopo avevi una riunione, e il tuo capo che vedendoti non può che pensare a quanto sei stupido (sesta parola). E sostituibile. Lui no, non immagina come tua moglie che a macchiarti la camicia sia rossetto, né che il rossetto appartenga alla segretaria. Perché il rossetto della segretaria timbra ufficialmente solo le sue camicie. Così ha deciso, la seduta è tolta.