Capisco in un secondo che una delle bambine nella foto, facciotta tonda, ricciolo sulla fronte e sorriso da orecchio ad orecchio, sono io. La mestessa di almeno quaranta anni fa ha il grembiule teso sui bottoni e, posso dirlo con certezza, briciole di frappe sulle maniche delle braccia incrociate sul banco.
Conosco da pochi minuti la donna che mostra la foto. E’ esile e scatta sui fianchi come chi da sempre è abituata a correre staffette. Siamo in fila alla cassa dell’Ikea, con altri miliardi di esseri viventi. Abbiamo preso quello che dovevamo e ci siamo impilati ognuno con il suo carrellone o il suo bustone disposti in fila per due senza conoscersi.
Non mi è dispiaciuto chiacchierare un po’, il tempo di rilassarmi eppoi ecchettelalla’.
Lei mostra il motivo per cui cerca una cornice di un certo tipo. Machedavero? Sono io quella lì ?
Eccomi stampata in un gruppo classe di belle bimbe dai capelli tirati in codini perfetti e svettanti nei loro grembiulini stirati. Vivo quindi un incubo stordito di ritorno. Non posso scappare con il carrello carico di ben tre colli contenenti un armadio bianco. Chi accidenti eri quarant’anni fa, ora perfetta avventrice di centri commerciali,? Carla, la figlia della sarta con i suoi costumi da fatina delle stelle? Patrizia, l’erede della famosa e unica nel quartiere cartolibreria Pizzi? Marilena, la sorella del pasticcere? Osservo di nuovo la foto, elegantemente e orgogliosamente pubblicizzata. D’altronde come la magrissima ricercatrice di cornici per foto d’epoca, molti altri ex compagni di classe, potrebbero essere ovunque. Si sa, i compagni di classe delle elementari crescono e mutano. Ed eccomi sognare l upgrade da rotonda figlia stropicciata di madre lavoratrice a regina. Sento la mia voce pronunciare le parole “Io vi perdono” mentre pongo il dito pollice verso il basso e mostro al boia la ghigliottina. Ancora gusto la bellezza dell’esecuzione.
Intanto paghiamo e fuori delle casse restiamo in cinque. Come a scuola, abbiamo fatto amicizia.
Il gruppetto si accampa alla destra di un amorfo bancone, decide di prendere un caffè e giocare a “lingua di ferro”. Chiacchieriamo senza tregua per 5 minuti scambiandoci notizie. Osservo la mia ex compagna di classe e penso che proprio non so chi è.
La fascinosa neo separata mostra un video del suo felino. Non indica la bestiolina per nome ed io la battezzo Gattopalla. Stralcia le risate senza nascondere una disperata rassegnazione verso la panciona enorme e lo sguardo satollo. Raramente il buon gattopalla si muove e quando lo fa, resta sospeso come a cercare le forze di completare l’azione forse solo appena abbozzata. E’ grigio bianco e il suo manto ha visto giorni migliori. “E’ vecchio” suggerisce il salsero accanto a me difendendo la categoria “E’ sempre stato così” specifica la padrona. “Una causa persa” soggiunge il signore bassetto che ci ha detto di essere medico.
Il caffe’ è servito in tazze di cartone, mi volto al richiamo della bambina con il grembiule inamidato che me lo porge, ed io, cicciottella unica in classe a non avere il fiocco venduto dalle suore, mi lascio sfuggire un “lo sai chi sono io…? “
Inspiro l’aroma e confesso. “ ti ricordi di quella che arrivo’ in quarta elementare?”
Lei, ancor piu magra ora, storce la faccia. Prima.
Poi si comprime come una molla. L’amante dei felini tondi, richiama l’attenzione generale sulla conversazione dimostrando un non comune senso pratico.
”Ma insomma avete sentito? Stavano in classe insieme e si sono incontrate qui all’Ikea!” Tutti ridono e commentano con frasi disinteressate. Viene proposta una foto commemorative e ci abbracciamo mentre mostriamo la foto della quarta elementare.
Bacio quindi Astolfi Emilia, astuccio sempre perfettamente ordinato e fornito, la prima dell’elenco, quella che scopri’ che avevo il colletto del grembiule sporco e suppose che io non mi lavassi il collo tutti i giorni.
Poi eccoci in posa io e Carla, la padrona di Mirto, il gattopalla. Le manderò in seguito, dal mio lettuccio caldo, su whatsup, uno scatto dell’armadio montato, dei miei figli, dei miei gatti. Sono distrutta, nella sera che segue, e guardo le foto che ricevo da lei. Eccoci tutti insieme al parcheggio dopo esserci caricati le mercanzie.
Il salsero, Emilio per l’anagrafe, pubblica su Facebook l’immagine di noi due, io ed Emilia, che ci salutiamo indicandoci con il dito e la bocca a gallina.
La vita dovrebbe essere cosi’, tante foto in sequenza, niente cornici fisse li sulla libreria a mostrarti lo stesso fotogramma. Che grande invenzione gli smarthphone.
Eppoi viva Gattopalla, tutti i Gattopalla del mondo.