Chiuse la saracinesca e si voltò senza guardarsi indietro.
Camminò fino a casa con la testa vuota, l’assenza di pensiero data dalla frustrazione era più forte di mille ore di meditazione.
Giunto a casa, gettò a terra le chiavi del ristorante, tanto non servivano più; le avrebbe riconsegnate al proprietario dello stabile nei giorni a venire.
Anni di lavoro, notti insonni e infinite gioie erano terminate a causa di una crisi di merda e dell’agenzia dell’entrate.
Tutta la sua vita professionale era rinchiusa in cinque o sei scatoloni accanto alla porta d’entrata. Tutto era finito.
Prese una tazza e la riempì di whisky; non era mai stato un gran bevitore e in certi momenti aveva anche deriso chi affogava dispiaceri nel bicchiere, ma ora toccava a lui e mentalmente, chiese scusa a coloro ai quali aveva snobbato la debolezza.
Trangugiò l’Oban in un unico sorso, strizzò gli occhi e riempì un'altra tazza.
“Tanto domani, non avrò nulla da fare!”.
Lanciò un’occhiata sui libri che aveva accatastato nell’angolo, anche loro vestigia di un’idea che non esisteva più.
Il ristorante era un ritrovo per chi avesse voglia di mangiare e bere qualcosa di diverso, cucinato da mani sapienti.
Luca aveva l’idea che l’unione del cibo, letteratura e musica elevassero l’anima. All’interno del locale era stata allestita una piccola biblioteca dove chi dopo cena voleva intrattenersi con un libro poteva farlo.
La cucina era un’ arte, non andava improvvisata, nulla doveva essere fatto al momento, ogni sua ricetta era un evento clamoroso. Si abbandonò sulla poltrona scuotendo la testa.
Perdere qualcosa che hai nel cuore, nelle vene, nell’anima è duro da sopportare, soprattutto se è tutta la tua vita.
“Che schifo, non mi resta niente, niente famiglia, niente lavoro niente di niente.”. Gridò.
Prese una manciata di Tavor e ingoiò con una lunga sorsata di whisky.
“Poco onorevole uscire di scena così ma ormai non mi interessa più niente!”. Pensò addormentandosi.
“Luca ma sei matto?”.
La voce lo destò di botto.
Adriana la donna con cui condivideva le gioie e i dolori del ristorante era piantata davanti a lui.
“Ma ti sembra il momento di starsene seduti a smaltire la sbronza? Ma poi, dico io, non hai mai bevuto, Luca… forza datti da fare oggi ci sono tutti, ma veramente tutti!”
L’uomo si alzò in piedi, barcollò per un attimo.
“Che brutto sogno.”.
Perdere il locale sarebbe stato veramente una tragedia da suicidio.
Fece un salto nel retro e vide che la cucina era in fermento, ognuno svolgeva i propri compiti perfettamente.
Adriana indossava un abito da sera, blu, con una scollatura al limite dell’infarto. I capelli raccolti in uno chignon lasciavano spazio agli occhi dello stesso colore del vestito, era bellissima.
Lei era la “socia” che gestiva tutta la parte finanziaria e la sala, era il cervello della situazione.
“Scusa Adriana…”. Disse.
“Alt!”. Lo interruppe lei
“Come sempre sei stordito, non ti ricordi di nulla. Ho organizzato questa serata da tempo, ho mandato inviti a tutte le personalità dello spettacolo, vedrai ci saranno registi, musicisti, scrittori e tu ancora in jeans e maglietta? Vatti a cambiare che stavolta dobbiamo svoltare.”.
Luca seguì il consiglio dell’amica e andò ad indossare l’abito che gli aveva dato.
Mentre si spogliava, ripensava allo strano sogno appena fatto, lui che la faceva finita, lui che non aveva mai mollato, che non avrebbe indietreggiato mai.
Sorrise e si toccò la testa, aveva un cerchio che gli stringeva le tempie, ma non prese nessun antidolorifico, non ne aveva voglia.
Si guardò allo specchio, era vestito come James Bond.
Rise e uscì.
Sentì che la sala si stava riempiendo, attraversò rapido la cucina e sbigottito entro' nel ristorante.
Jack Kerouac stava sorseggiando un whisky e chiacchierava con Fernanda Pivano e Lucia Joyce, poco più in là Louis Ferdinand Céline accarezzava un gatto e discuteva animatamente con un cameriere.
Ad un tavolo defilato, Hendrix, Jim Morrison e Luigi Tenco davano fondo alla bottiglia di Bordeaux.
“Non dire niente…”. disse Adriana.
“… hai visto di cosa sono stata capace?”.
Lui guardò gli occhi indaco della donna.
“Non so se hai notato… sconfiggo un cancro, torno e ti organizzo tutto questo. Domani tutti i giornali ne parleranno vedrai.”.
Adriana fu interrotta dall’entrata di altre due personalità dell’arte.
Yukio Mishima e Pierpaolo Pasolini oltrepassarono la porta e furono accolti dagli applausi di Bukowski e John Fante.
Luca era impietrito, si guardava intorno senza fiatare.
“Non è possibile…”.
“Certo che è possibile, basta saper gestire bene le risorse, fare una pubblicità a tappeto ed invitare la gente che conta.”. Lo stoppò la socia, che poi andò a sedere al tavolo dove Truffaut e Monicelli avevano occupato battendo sul tempo Marcel Cerdan e Jake la Motta che nel frattempo, avevano cominciato a litigare e si erano tolti le giacche. I due pugili si diressero nel vicolo, per una “rivincita”, arbitrati da un Hemingway divertito.
Amedeo Modigliani ormai ubriaco, canzonava Picasso sulla sua incipiente calvizie.
“Tutto questo è impossibile…”. disse Luca.
“… il ristorante pieno di personalità… morte!”. Sentenziò.
Incredulo, guardò Adriana muoversi tra i tavoli con la sicurezza di sempre.
La sicurezza che l’ha sempre contraddistinta, in vita.
Già, perché Adriana era morta. Un cancro al seno aveva cancellato i suoi bellissimi occhi, un anno prima.
Luca si sedette e abbassò lo sguardo. Aveva capito tutto.
…
Corriere della sera.
Luca C. noto ristoratore della città, morto nel suo appartamento.
I vicini disturbati dall’odore nauseabondo, hanno avvertito le autorità che sfondata la porta, hanno trovato il cadavere.
L’uomo strozzato dai debiti si è tolto la vita con un cocktail di farmaci e alcool. Aveva quarant’anni. Maggiori dettagli a pagina 12.