Antonio era vecchio. Aveva ottantadue anni e una vita alle spalle di dura fatica. Era proprietario di una casa con stalle, magazzini, fienile e appezzamenti di terreno, tutti coltivati. Anche due appartamenti in paese e tre negozi aveva, tutto era regolarmente affittato. Con la pensione e le sue rendite poteva dire di essere un vecchio benestante. Malauguratamente era anche senza figli, dalla morte della moglie era rimasto solo ed erano già più di quindici anni. Era attaccato molto alle sue proprietà che se l’era sudate col duro lavoro già da quando era solo un ragazzino. Aveva un nipote che l’aiutava in casa, sempre premuroso e gentile era. Così per il suo attaccamento e per risparmiare le tasse di successione, decise di donare da vivo tutte i suoi beni a quest’uomo di trent’anni, Ottavio, il figlio della sorella Margherita. Aveva da mesi preparato tutto col notaio Belladonna e quel martedì mattina dovevano recarsi per formalizzare tutto e firmare gli atti di cessione di ogni bene. Così si incamminarono dalla casa, lui Ottavio e Ludovico, il suo asino. Antonio l’aveva chiamato così per via di una poesia di Antonio De Curtis, Ludovico e Sarchiapone. All’andata il nipote si prodigò di attenzioni, ci mise lo sgabello per farlo salire in groppa all’asino, aveva tenuto le redini dell’animale tutto il tragitto e lo aiutò nella discesa a terra all’arrivo sotto l’ufficio del Belladonna. Ci vollero quasi due ore per sbrogliare il tutto, che il notaio doveva leggere tutte le carte che lui stesso aveva scritto, il nome, il cognome e dove è nato, e dove risiede, e dove sta la casa, e il terreno, e tutto quanto per filo e per segno, insomma tutte le notizie necessarie. Al ritorno si incamminarono per fare il tragitto al contrario, Antonio non era salito sull’asino, pensò che il nipote aspettasse un gradino o un sasso abbastanza grande perché lui ci salisse sopra e gli facilitasse così la montatura sull’animale. Passarono una scalinata con un primo scalino abbastanza alto per l’operazione, poi una pietra e un’altra. Antonio chiese al nipote come mai non lo facesse salire sul dorso di Ludovico che gli facevano male le gambe.

O zio, all’andata il ciuccio era tuo e ci stavi bello comodo. Adesso, al ritorno, è mio e mi ci metto comodo io. – Gli rispose Ottavio e senza neanche girarsi a guardarlo salì sull’animale. Così Antonio rientrò a piedi a casa del nipote.

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