“Loreto, prossima fermata Loreto”, ripeté la voce registrata.
Sergio osservava i pendolari di quel vagone della metropolitana milanese in viaggio verso la città. Loreto era un crocevia di percorsi dove le persone si incanalavano e, una volta scelta la direzione, il flusso le avrebbe portate in avanti, anche a occhi chiusi. I ragazzi avevano zaini pesanti, visi assonnati, la musica nelle orecchie e la voglia di andarsene altrove. Gli adulti erano una popolazione meno interessante. Avevano abbandonato l’adrenalina dei vent’anni per far spazio a notti insonni, problemi da risolvere, famiglie ingombranti e desideri di riscatto. A Sergio pareva che tutti fossero immersi in giornate così prevedibili da farle sembrare già concluse.
“Duomo, prossima fermata Duomo”, informò di nuovo la voce registrata.
Un altro sciame di gente sarebbe scesa: uomini d’affari con il quotidiano sotto braccio e l’umore in linea con l'andamento dei mercati azionari, donne in carriera e commesse dei negozi del quadrilatero della moda. Uscivano all’alba, dai loro appartamenti fuori città, agghindate come se, oltre Loreto, un’altra vita le attendesse. Un’esistenza diurna ben lontana della sfera domestica che correva su più binari, come la metropolitana.
“Cadorna, prossima fermata Cadorna”.
Il panorama dei passeggeri sarebbe mutato di nuovo, era il momento degli studenti universitari. Marzo è periodo di lezione e di qualche esame parziale sostenuto, per guadagnare tempo, in attesa della sessione estiva. A Milano, ad andare di fretta, lo insegnano a scuola. Solo a trent’anni scopri che le ambizioni sono maggiori delle opportunità, anche per chi è arrivato primo. Appena puoi, te ne vai all’estero a fare il cameriere per imparare una nuova lingua e scoparti le ragazze ubriache nei cessi dei pub - l’università della strada. Dopo un anno torni a casa e, grazie a questa esperienza, che vai sbandierando sul curriculum, trovi un lavoro in una multinazionale.
Ogni fermata ha dei “passeggeri-tipo”. Sergio riconosceva a distanza uno di Loreto da uno di Duomo. Viceversa, quando li rivedeva la sera, sapeva già dove sarebbero scesi. Bastava uno sguardo per capire se calzavano scarpe comprate in un negozio, a buon mercato, di Sesto San Giovanni o da un artigiano in Porta Venezia. Solo gli anziani erano passeggeri non ben collocabili. Appartenevano ad un’altra epoca e non correvano dietro alle giornate. Osservavano le rotture di palle negli occhi di chi gli stava accanto con la noncuranza di chi non si preoccupa di nulla. “Bisognerebbe essere anziani più spesso”, pensò Sergio, che si mise in fila per scendere in Cadorna. Si sistemò la cravatta e si specchiò nel riflesso dei finestrini.
La gente spingeva verso le scale mobili ma lui si fermò sulla banchina. I treni si susseguivano a breve distanza e li precedeva un’aria fredda e pesante come la giornata che lo attendeva. Sarebbe stato il suo ultimo giorno di lavoro. L’azienda americana per la quale lavorava da quindici anni avrebbe chiuso la sede di Milano. Recuperati i suoi effetti personali sarebbe tornato a casa, a Sesto Marelli, nel condominio costruito dalla Falck negli anni Sessanta per accogliere le famiglie degli operai.
Lo aspettava la moglie, figlia di un gruista, che aveva ereditato quel bilocale dai genitori. Una donna che si era lasciata andare e che si sarebbe ammalata di depressione nello scoprire che il figlio, omosessuale, non voleva più studiare e passava il tempo a farsi le canne con il suo amico. Sergio sapeva che quello sarebbe stato l’ultimo momento di dignità prima di essere travolto da un’onda lunga di problemi.
Sentì di nuovo l’aria gelida sopraggiungere ma gli parve meno pesante di prima. Si avvicinò al binario, vide il treno arrivare a gran velocità e gli bastò fare un passo in avanti, nel vuoto, per non essere costretto a vivere quel futuro di cui sapeva già tutto.