Il braccio muscoloso del gondoliere sparì sotto la volta del ponte.
Gina godeva di una vista perfetta sul canale. Un paio di giorni di break aveva detto Georg, il suo uomo tuttofare. Aveva ragione, come al solito. Gina si sentiva già meglio. Girò lo sguardo scrupoloso sulla fisionomia della camera. Queste stanze avevano sempre un che di familiare. Le tende pesanti che sapevano di polvere affumicata. I mobili piacevolmente antichi, i pavimenti imbarcati che si lamentavano sotto i passi dei clienti. Si fermò davanti alla sua immagine incorniciata nello specchio ovale. Leggere ombre sotto gli occhi le trasmisero una certa irrequietezza. Non era la prima volta che le notava. E non le sembrava che fosse accaduto di recente.
Spostò l’attenzione sul letto, il copriletto lucido doveva essere anche frusciante. Sorrise col pensiero. La tappezzeria di colore carico rendeva più accogliente la stanza che altrimenti sarebbe stata troppo gande e dispersiva. I comodini si esibivano con una certa malizia ai lati del letto. Gina aprì le antine. Immaginava sempre che qualcuno potesse dimenticare qualche oggetto nel lasciare la stanza e sperava di scovare segreti di sconosciuti. Una volta aveva trovato una cartolina nell’ultimo cassetto di un comò. Peccato che non fosse compilata. Comunque era di una località lontana e poco nota e Gina l’aveva conservata come un piccolo tesoro. In cambio aveva pensato di scrivere una lettera e lasciarla al prossimo cliente. Una specie di messaggio in bottiglia, gettato tra le tempeste della vita. Lei ne aveva avute tante di tempeste nella vita, anche se ora non riusciva a ricordare quali. Strano, la sua mente si era già messa in vacanza evidentemente. Troppo stress la rimproverava dolcemente Georg. Un uomo davvero indispensabile, chissà dove lo avevano trovato quelli del giornale.
Fece una capatina in bagno concentrandosi sul sentore dell’aria. Magari una traccia di profumo avrebbe dato indicazioni sull’ospite che l’aveva preceduta. Il suo fiuto di cronista era sempre in azione. Purtroppo, o per fortuna, le pulizie erano state eseguite in modo impeccabile. Aleggiava solo l’alito di detergenti e disinfettanti. Tutto quel marmo lucido le diede una forte vertigine. Premette le mani per un momento sul bordo del lavandino e poi sulle tempie. Bastò quella sensazione di fresco per farla tornare in sé. Rientrò in camera e si sedette a bordo letto. La cassettiera aveva delle maniglie invitanti e familiari. Decise di esplorare. Il primo cassetto custodiva dépliant dell’hotel, fogli intestati, e menù. Il secondo nulla, non recuperò nemmeno un granello di polvere passandoci il dito dentro. Nel terzo c’era. Davvero. Una lettera.
Qualcuno bussò alla porta proprio in quel momento. Gina sbuffò. Non rispose guardando dentro al cassetto aperto. Ma l’insistenza alla porta aveva un che di allarmante. Gina si costrinse ad andare ad aprire. Era Georg, la pupilla dilatata dall’oscurità del corridoio, o dalle sue mille preoccupazioni di essere all’altezza. Gina sorrise:
“Entra e siediti. Questo divanetto andrà benissimo” Gina gli diede le spalle e sollevò la busta davanti a sé. “Dammi un momento e sono da te.”
Georg annuì in silenzio. Si vedeva che aveva bisogno di comunicare ma attese senza protestare.
Gina aprì la busta e diede giusto una sbirciatina, prima di appoggiarla sul cassettone. Ma quello che vide non poté lasciarla indifferente. Qualcuno aveva la sua identica scrittura.
Gina si agitò. Sentì freddo con le mani e contemporaneamente piccole stille di sudore sui palmi.
Georg si accorse di qualcosa. Bisbigliò:
“Tutto bene?” ma non si mosse dal divanetto.
Gina mugugnò senza profferire parola. Aprì la lettera del tutto e restò sconvolta. Non poteva essere, eppure si trattava della sua, cioè quella di una volta…. che aveva lasciato… era un o scherzo cattivo o cosa?
Si girò di scatto verso Georg. Lui si era alzato in piedi ma ancora non si muoveva. Gina sentiva il pavimento molle sotto i piedi. E tanti, troppi pensieri che non sapeva più di avere cominciarono ad affollarsi dietro la sua fronte nervosa. Il cuore batteva nelle orbite degli occhi mentre immagini sempre meno confuse le scorrevano davanti.
Allora Georg parlò di nuovo:
“Che succede Gina? Ti prego, dimmi che cominci a ricordare”, la sua voce era un misto di speranza e paura. Lo sguardo lucido e troppo coinvolto per essere solo un tuttofare….
“Non ti chiami Georg”. Lei sorrise piano, consapevole e affettuosa, allungando le braccia verso di lui.