Il fumo sale lento dalla sigaretta in piccoli fili grigiastri, dritto per alcuni centimetri prima di allargarsi nell’aria e spargersi per tutta la stanza. L’alba si sta affacciando dietro alle colline, il chiarore del sole entra dalle stecche delle persiane spezzando quel buio che ho lasciato di proposito intorno a me.
Ho passato la notte sveglio a pensare e guardarmi intorno. Non ho sentito la stanchezza, non ho avuto fame, ho solo bevuto un paio di birre e fumato un pacchetto intero di Winston blu.
Mi sembra di sentirlo il dottor Maggi, lui con i suoi discorsi e gli occhiali spessi un dito: ‘devi pensare positivo Paolo, devi reagire. Intorno a te ci sono persone che ti vogliono bene, che ti sostengono e desiderano solo vederti libero’. Libero da cosa? Libero da me, dal mostro della depressione che mi si è annidato tra cuore e gola. Ormai mi offusca la mente da quasi due anni, all’inizio lo tenevo nascosto come fosse un disonore, qualcosa di cui vergognarmi, poi però ha preso il sopravvento.
I miei familiari hanno cominciato a preoccuparsi, vedendomi sempre più schivo e chiuso in me stesso sono corsi ai ripari. Mi hanno portato da più di uno specialista e la sentenza per loro è stata scioccante quanto inaspettata. La 'bestia nera' proprio sotto il loro tetto, dentro un ragazzino di diciannove anni a cui, per inciso, non è mai mancato niente. Ma la 'signora' non è che si metta a guardare se hai le scarpe alla moda o l’ultimo modello dell’iPhone tra le mani, lei è molto più subdola, prende le tue debolezze e le trasforma in vortici che risucchiano tutto. Questo grande buco nero dovrebbe essere prima ridotto e poi annientato dalle chiacchiere con uno dei migliori psicoterapeuti della città, due volte la settimana. Il dottore sa il fatto suo, lo ammetto, ma io sono così radicato in quell’oblio che nelle vene non sento scorrere sangue rosso e vivo ma una melma nerastra che mi appesantisce ad ogni battito. Sono stanco di questa vita, non ho più voglia di lottare contro qualcosa che, nonostante i miei tentativi di ribellione, continua a schiacciarmi sempre di più. Ci sono volte in cui mi sembra di sentire riecheggiare sotto la pelle un crepitio di ossa calpestate, volte in cui mi guardo negli occhi infossati e stanchi e vedo solo un buio profondo. Come quello della notte appena passata, infinito e senza stelle, capace d’inghiottire qualsiasi cosa.
Ho letto su internet che quindici persone su cento che soffrono di una depressione clinica grave muoiono per suicidio. Io non so se il mio stato si possa definire grave, so solo che quel pensiero mi è girato per la testa più di una volta. Ho trascorso ore ad immaginarmi una possibile uscita di scena, ho anche scritto una lettera d'addio per la mia famiglia. La tengo nell'ultimo cassetto del mio comodino, nascosta sotto vecchi fumetti che ormai non leggo più. E' lì pronta all'uso casomai un giorno decidessi di farla finita e, siccome so che sarebbe una decisione repentina, non avrei il tempo di lasciare messaggi. Non so di preciso cosa mi potrebbe spingere ad un gesto tanto estremo, ma so che tra la decisione presa e la fine di tutto passerebbe solo il tempo di trovare il modo di farlo. Di certo darei un grande dolore a tutti, incredulità e sgomento accompagnerebbero il mio ricordo per sempre, ma se fosse l'unica soluzione che riuscissi a trovare probabilmente non esiterei ad uccidermi.