Nel ’45 l’inverno era arrivato presto e la neve aveva precocemente imbiancato le montagne in cui aveva vita il piccolo borgo.
Il silenzio della montagna, reso ovattato dalla neve che continuava a cadere da alcuni giorni, era rotto soltanto dal passaggio di autoveicoli e soldati tedeschi. D’altro canto in paese, tranne che in caso di stretta necessità, nessuno osava uscire dalla propria casa; un po’ per il freddo pungente e tanto per la paura. Le truppe di occupazione non esitavano a sparare su quanti osavano trasgredire al coprifuoco. Il pericolo costituito dalle bande partigiane che operavano nella zona, rendeva molto nervosi i militari i quali non ci pensavano molto ad aprire il fuoco su qualsiasi ombra.
Dopo cinque anni di guerra, la montagna era come spogliata: i giovani o erano prigionieri da qualche parte nel mondo oppure s’erano uniti ai partigiani. Erano rimasti solo i vecchi, le donne e i bambini. Le coltivazioni erano ridotte al minimo: fieno per chi possedeva delle bestie in stalla, un po’ di grano per la farina e tante castagne con le quali fare un po’ di tutto. Da sempre esse rappresentavano il cibo invernale dei montanari. Avevano il vantaggio di crescere da sole e il lavoro si riduceva, oltre che raccoglierle, a tenere pulito il sottobosco, cosa che potevano fare anche le donne.
Sì, perché in tempo di guerra, mentre gli uomini sono al fronte, tocca alle donne curare i vecchi, accudire i figli, coltivare i campi e mantenere unita la famiglia. Il tutto con la pena nel cuore di non sapere che fine ha fatto l’uomo di casa: vivo, prigioniero, disperso, chissà! Solo per i morti le notizie erano quasi certe. E trovare da mangiare per la famiglia non era sempre facile. Per il mercato nero occorrevano i soldi, e di quelli non ce n’erano mai, oppure…castagne e andare!
Nonostante la neve continuasse a cadere, sulla strada c’era movimento di uomini in marcia. Con l’elmetto calcato in testa, i soldati alzavano il bavero dei pesanti pastrani per ripararsi dal freddo e marciavano in silenzio. A parte qualche ufficiale che impartiva ordini con voce gutturale, si udiva solo il tramestio delle gavette che penzolavano dagli zaini e lo scricchiolio della neve sotto i pesanti stivali chiodati. La testa bassa, il corpo piegato sotto il peso, camminavano faticosamente e dalle loro bocche usciva solo uno sbuffo di fiato. Osservandoli attentamente si sarebbe potuto leggere nei loro occhi la paura, la stanchezza e lo sfinimento di chi non ne poteva più.
Hitler aveva raschiato il fondo del barile e quelli che marciavano erano soldati di 16 anni o poco più. Ragazzi strappati alla giovinezza e mandati a morire in un paese dove credevano splendesse sempre il sole e non che facesse un freddo cane; senza mangiare, solo marciare e uccidere per sopravvivere.
Nella strada, le truppe erano in ritirata dal fronte di guerra posto appena al di là della montagna e Olinda, immersa nel buio della sua casa, guardava pensosa fuori della finestra tutto quell’andirivieni, rumoroso eppure silenzioso. I suoi capelli, precocemente ingrigiti, erano raccolti in una crocchia fermata sulla testa da uno spillone di legno. Le sue spalle erano piegate, come portasse un peso costante ma che solo il dolore e la fatica di vivere avevano reso tali.
La fiamma del camino emanava un piccolo riverbero nella cucina, rischiarandola leggermente e tanto bastava per effondere un senso di calore. L’anziana donna aveva camminato tutto il giorno per andare dalla sorella per prendere un sacco di castagne con le quali potersi sfamare per un po’ di tempo. La stanchezza e il freddo stavano lentamente passando, ma le incuteva timore il passaggio dei soldati. Era sola in casa; l’unico figlio era prigioniero in qualche posto in Russia e il vedere i militari le aveva riportato, qualora ce ne fosse stato bisogno, il pensiero al suo Carlino.
“Madonna Santa ti prego, fammelo tornare a casa ” mormorò fra sé.
Pregava tutte le sere sperando che questo potesse aiutare il suo ragazzo a sopravvivere. Aveva fatto anche un voto: se fosse tornato vivo sarebbe andata al Santuario della Madonna per ringraziarla.
Lo guardava sempre il suo Carlo nella fotografia messa in bella vista sul ripiano di marmo della credenza. Con il cappello da alpino, la penna nera e un sorriso grande così sulla faccia buona di chi al massimo ha ucciso una lepre per mangiarla con la polenta. Era incapace di fare del male ad alcuno ed in paese era benvoluto da tutti. Era forte come una quercia…già, era! Aveva visto alcuni dei reduci tornati dalla Russia: emaciati, con le piaghe del congelamento, la carne nera che si staccava dalle ossa delle mani, dei piedi. E in cuor suo sperava che Carlino non soffrisse gli stessi tormenti. Maledetta guerra! Ma quando sarebbe finita?
Si staccò dalla finestra in preda a questi pensieri e si avvicinò al camino; lo ravvivò con altra legna e prese una grossa manciata di castagne dal sacco. Le appoggiò sul grosso tavolo di legno e prese il coltello con la lama arcuata per inciderle. Voleva farle arrostire sulle braci e si sarebbe fatta un po’ di vino cotto per riscaldarsi dal freddo che sentiva sempre. Si era abituata a mangiare in modo frugale. Dopo averle incise rovesciò le castagne nella padella forata e l'appoggiò sopra le braci. Lo sfrigolio delle bucce e un gradevole odore di bruciaticcio si sparsero nell’aria, riportandola indietro nel tempo, in un’altra vita. A quando di sera, seduti in pace davanti al camino, parlavano di storie delle loro montagne.
Si avvicinò alla credenza da dove trasse la bottiglia del vino. Stava per versarne un po' in un pentolino quando, all’improvviso, la porta si aprì, lasciando entrare una folata d’aria gelida e un soldato tedesco, con il lungo pastrano ricoperto di neve.
Immobile e sorpresa, Olinda ne osservò gli occhi nel viso smunto, pallido dal freddo, l’aria impaurita e un fucile più lungo di lui portato sulla spalla. Poteva avere sì e no 17 anni: un ragazzino in divisa diventato già vecchio. Il soldato protese le mani in un gesto che significava di stare calma, che non le avrebbe fatto niente di male, ma lei restò egualmente paralizzata dalla paura.
L’uomo, muovendosi lentamente sotto il peso dello zaino, indicò il camino e si mosse per avvicinarsi, con gli occhi che imploravano calore. Volse lo sguardo verso le castagne nella padella di ferro e il vino sul tavolo.
“Gut essen” esclamò.
La voce era tremante e si avvicinò al fuoco con le mani tese. Contemporaneamente Olinda si mosse, lasciando trasparire la paura che l’attanagliava e lui si fermò di colpo.
“Nein, nein” disse mentre lei non capiva.
Allora lui le si avvicinò lentamente e prendendola per le spalle:
“Io buono soldato, nein male a te mama. Io fame e freddo”.
A Olinda la paura non fece capire granché, ma la parola “mama” la tranquillizzò un poco. Lo osservò meglio: sotto l’elmetto d’acciaio aveva un viso da bambino e negli occhi vi scorse la luce di chi aveva visto troppe cose brutte. Una paura profonda mista ad una stanchezza che suscitava pietà.
Lentamente si mosse e gli indicò la sedia; lui capì e cominciò a togliersi lo zaino dalle spalle deponendolo a terra. Preso il fucile lo appoggiò al tavolo, mentre il cappotto cominciava a gocciolare neve sciolta. Si avvicinò al fuoco; le mani, quasi viola dal freddo, erano aperte e protese a cercare calore. Un tremore improvviso lo percorse e iniziò a battere i denti. Impietosita Olinda accostò la sedia al camino, facendogli cenno di sedere.
“Danke mama” disse lui con gratitudine.
La donna prese la bottiglia del vino, riempì un bicchiere e lo porse al giovane il quale, prendendolo con tutte e due le mani, quasi avesse paura di farlo cadere, se lo portò alla bocca bevendo con avidità.
“No, no, piano, piano - disse Olinda - ti farà male se lo bevi così di colpo” e lo disse d’istinto, come se stesse parlando al figlio.
Lui la guardò un po’ smarrito, ma allontanò il bicchiere dalla bocca. Poi girò lo sguardo verso le castagne sul fuoco, con bramosia.
“Aspetta, devono cuocere. Quando saranno pronte te le darò” disse Olinda.
Si avvicinò al camino e diede una rimescolata alle castagne che cominciavano a bruciacchiarsi nella padella. Sul tavolo stese una vecchia copertina di lana, vi appoggiò un tovagliolo umido e, ritornata al camino, tolse la padella bucata dal fuoco; poi, con movimento rapido, rovesciò le castagne sulla coperta. Ripiegò i bordi in modo da farne un fagotto poi rivolta al soldato:
“Così restano morbide e sono più buone”.
Lui la osservava impaziente e senza capire.
Dalla credenza prese due tazze di terracotta e vi versò il vino caldo quindi ne porse una al soldatino che stava aspettando. Nei suoi occhi, o almeno a Olinda così parve di capire, corsero immagini di un tempo lontano quando stava a casa sua: chissà forse anche lui era un montanaro. Egli accostò la tazza calda alle labbra e bevve un sorso di vino.
“Mmmh, gut, gut” disse mentre le sue guance riprendevano colore.
Olinda prese la coperta che conteneva le castagne e la aprì; il profumo dolciastro salì nell’aria. Il ragazzo allungò la mano screpolata dal freddo e cominciò a sbucciare la caldarrosta, facendola saltare da una mano all’altra per non scottarsi. Iniziò a mangiare con gusto e ingordigia.
“Povero figlio - pensò Olinda - è affamato” e stette ad osservarlo.
Lui alzò la faccia e i loro sguardi si incrociarono: gli occhi neri di lei pensavano ad un ragazzo sperduto chissà dove, prigioniero in una terra sconosciuta e il cuore le si gonfiò di tenerezza. Gli occhi azzurri del giovane erano pieni di gratitudine e dischiuse le labbra in un timido sorriso. Era un dialogo silenzioso tra due esseri umani, accomunati da una tragedia più grande di loro che per un attimo avevano ritrovato un senso di casa, di famiglia e ciò a cui entrambi aspiravano: un ritorno a casa.
Vino e castagne finirono in breve tempo e il soldato si accoccolò vicino al fuoco e in breve si addormentò come un masso, come solo i soldati al fronte sanno fare: addormentarsi subito e svegliarsi di colpo. La stanchezza lo aveva sopraffatto; il vino caldo e l’aria di casa avevano fatto il resto. La mano destra appoggiata all’altezza del cuore, come a voler accarezzare la testa di una mamma lontana.
Olinda restò a guardarlo seduta su una vecchia sedia a dondolo. Il cullare ritmato e le emozioni della giornata le fecero chiudere gli occhi. Si svegliò all’improvviso che era ancora buio. Ricordò la presenza del soldato e con gli occhi lo cercò senza trovarlo: se n’era andato!
Era di nuovo sola e faceva così freddo quell’inverno!