Erano ore che passeggiavo in compagnia della mia solitudine. Mi immergevo nelle strade popolate da persone anonime. Cercavo compagnia e bellezza. Tutte le donne che incrociavano il mio cammino erano buie, tetre, scure come i miei pensieri. Continuavo imperterrito il mio girovagare, non davo ascolto alle piante dei miei piedi, non mi curavo del lamento delle mie gambe. Cercavo ostinatamente una donna che non c'era. Si era materializzata nei miei pensieri, ed è in questo modo, che avevo cominciato a comunicare con lei, per alleggerire il mio bisogno di parlarle, di averla. Ai miei soliloqui, cominciai a dare le risposte che volevo ascoltare dalla mia immaginaria compagna, non avevo altra scelta. Quello che non avveniva nella realtà, lo facevo vivere nel mio immaginario. Non ero contento di quanto facessi.
Ad un certo punto dovetti fermarmi, le forze cominciavano ad abbandonare i miei arti. Trovai una panchina, in una piazza centrale della mia città. Pensai di approfittarne per un breve riposo, mi dissi:" Nonostante il grosso affollamento di persone, darò un po' di pace al mio corpo."
Mi sedetti, cominciai a scrivere qualche frase sconnessa sul mio block notes, come sconnessi erano i miei pensieri in quel momento. Mi allontanai per un breve tempo dalla realtà che stavo vivendo.
Improvvisa uno stato di calma si impossessò di me, e del microcosmo che mi avvolgeva. Alzai gli occhi dal foglio che stavo profanando, mi accorsi che tutt'intorno, regnava una calma che non vedevo prima.
Ero seduto al centro di una affollata piazza, ma mi sentivo come se stessi disteso su una comoda poltrona, in un gradevole salotto. Fu a quel punto che il mio stato d'animo cambiò. Ne diedi notizia anche a chi mi faceva ancora compagnia; la mia solitudine, che come un fedele amico non mi aveva abbandonato.
Feci un giro con lo sguardo, le figure umane che mi gravitavano intorno, erano diventate più rade. Fu così che in lontananza scorsi una silhouette di donna che all'istante provocò in me sussulti, tremori e quant'altro di imbarazzante possa capitare ad una persona timida come me.
La guardai, era semplicemente bellissima.
Si era materializzata la dea che invano avevo cercato tutta la mattinata. Il posto ormai era sgombro dalle molte, insignificanti persone, che comunque mi avevano protetto con i loro corpi, facendo in modo che io potessi scrutare, senza essere notato.
Fui subito certo che era lei quella che invano avevo cercato per tante strade, e adesso sembrava che fosse stata lei a trovare me. Guardai nella sua direzione, simulando un interesse per dei cartelloni pubblicitari che le facevano da sfondo. Mi accorsi che mi guardava, con lo sguardo non riuscii a pareggiare il suo.
Il mio cervello cominciò a produrre mille pensieri al secondo, ma nessuno che mi portasse da lei.
Volevo alzarmi e camminare nella sua direzione, ma pensai di poter sembrare troppo sfacciato con questa manovra. Aspettavo di estrapolare la mossa giusta dalla cascata di pensieri che monopolizzava la mia mente. Improvvisa partì la mossa che mi avrebbe aiutato a mettere in atto quello che non osavo cominciare.
Fu lei a venire verso di me.
Mentre si avvicinava vedevo sparire per sempre ogni possibilità di poterla conoscere. Una volta che mi avrebbe raggiunto e oltrepassato, non avrei avuto la forza ne il coraggio di avvicinarla, dirle qualcosa, ne tanto meno seguirla. L'unica cosa che potevo fare, era quella di fissarla quanto più intensamente possibile, in modo da far restare in me quanto più tempo possibile il ricordo di quello splendore.
Non posseggo poteri paranormali, ma più volte mi è capitato di comunicare con una donna senza proferire alcuna parola, limitandomi a fissarla negli occhi, e riuscire a trasmetterle quanto di più profondo provassi per lei. Questo era quello che desideravo accadesse.
Mentre lei muoveva i primi passi nella mia direzione, la vidi come fosse una vestale, e nel muovere il suo sinuoso corpo, che danzasse solo per me. In lei tutto era armonia. Continuando nella sua “danza”, venendo verso di me, accadde qualcosa di inaspettato e di meraviglioso, riuscii a tenerle lo sguardo attaccato addosso, senza essere costretto a distoglierlo per il mio troppo turbamento, così facendo, mi accorsi che anche lei faceva altrettanto, cambiava solo l'espressione dei nostri visi. Il mio stretto in una morsa di tensione, il suo allegro, rilassato e bellissimo.
Nel momento che cominciò a venire verso di me, cominciai ad avvertire una sensazione di appartenenza.
La sorpresa, il destino me la regalò quando mi fu accanto. Invece di proseguire per la sua strada, ebbe l'ardire di sedersi sulla mia stessa panchina, e dopo essersi arrotolata una sottile sigaretta, non senza piccoli e furtivi sguardi, mi chiese con una voce che mi sembrò musica, se avessi del fuoco per lei. Questa suo rivolgermi la parola, mi diede l'input per cominciare finalmente quel discorso che per troppo tempo avevo recitato da solo.
Fu un susseguirsi di intese, di interessi comuni. Parlando con lei, ebbi la sensazione di conoscerla da sempre. In lei tutto coincideva come lo avevo sempre immaginato. Ad un certo punto, sembrò una cosa naturale, che i nostri corpi si cercassero chiedendo informazioni reciproche. Presto ci ritrovammo con le dita intrecciate, con l'altra mano ci scambiavamo, carezze e massaggi tra i capelli, mentre con gli occhi creammo un corridoio dal quale potevamo entrare l'uno nell'altra. Queste emozioni, uniche, intime che sentivamo, non potevano finire che con un lungo, dolce bacio. Il resto del pomeriggio passò tra poche parole, tante carezze e infiniti sguardi penetranti.
Ero d'avvero felice. Avevo trovato finalmente la donna dei miei sogni.
Giunsero insieme, una leggera pioggerellina, e la sua richiesta di rincasare. Mi offrii di riaccompagnarla a casa in auto, come dovere, perché mi disse, abitava in un posto periferico. Lei accettò. Andammo verso la mia auto, sbloccai le portiere con il telecomando, da lontano. La precedetti per aprirle la portiera, come si conviene ad una principessa. Sembrò colpita da questo mio gesto, mi chiamò cavaliere d'altri tempi. Guidai per tutto il tragitto con una mano sul volante, e l'altra stretta nella sua. Le marce le innestavamo insieme, per non rompere l'unione delle delle nostre dita, che intrecciandosi, strofinandosi ed accarezzandosi spasmodicamente, continuavano a cercare informazioni ai nostri sensi. Arrivammo in prossimità della sua abitazione. La pioggia che scendeva copiosa, contribuiva a rendere quel posto tetro e deserto. Gli scrosci che investivano la nostra auto, ci avvolgevano dandoci l'impressione che volessero nasconderci da occhi indiscreti, come una pesante tenda da teatro. Lei disse che aveva ancora qualche minuto da dedicarmi. Le parole lasciarono il posto ai nostri ardenti baci, sempre più lunghi, sempre più appassionati. Fu una naturale conseguenza quell'amplesso compiuto sull'onda di una passione smisurata e sopratutto inaspettata. Anche in questo ci fu una perfetta intesa, come se i nostri corpi, le nostre menti, si conoscessero da sempre. Consumato l'inatteso, splendido momento d'amore, lei si ricompose alla meglio, e mi chiese di portarla sotto casa. Per me fu un ordine al quale obbedire immediatamente. Durante il breve percorso che ci separava dalla sua casa, pensavo al miglior modo per suggellare l'inizio di quel meraviglioso rapporto che qualche Dio mi aveva regalato.
Arrivammo alla sua abitazione. Prima di farla scendere, avevo un bisogno di importanza vitale, fissare il prossimo appuntamento. Le dovevo chiedere quando ci saremmo rivisti.
Ebbi solo il tempo di sussurrarle: quando... lei interruppe la mia frase, poggiandomi delicatamente la mano sulle labbra, presto glie la baciai.
Si avvicinò e bisbigliandomi all'orecchio mi disse: "Tu mi piaci, ti faccio uno sconto, dammi solo cinquanta euro, in genere chiedo cento per queste cose."
Mi venne spontaneo mettermi a ridere, fu l'unica cosa che seppi fare. Nessuna parola più varcò le mie labbra, non riuscivo a deglutire, il respiro diventò quello di un palombaro in apnea in mancanza d'aria. Il mondo intero cominciò a girarmi vorticosamente intorno, come in preda alla più possente delle sbornie. Seduto al mio posto di guida, mi sentivo come un “top gun” in cabina di pilotaggio, nell'imminenza dell'espulsione dal suo jet. Il diluvio continuava a cingere d'assedio la mia auto. L'acqua che scendeva con una violenza cattiva, sembrava voler cancellare quanto di bello era accaduto in quelle ore tra me e quella che per troppo poco tempo avevo considerato, la donna con la quale poter invecchiare insieme.
Ancora una volta la sorte si prendeva beffe di me. Ci ero abituato, ma la mia schiena diventava sempre più curva, sotto il peso di troppe, continue delusioni. Ero entrato in uno stato di trance, la mia testa sembrava essere al centro dell'universo, con una miriade di corpi scuri, bui che mi giravano vorticosamente intorno, con orbite incontrollate. Mi ero perso in uno spazio tempo indefinito, la realtà si era dissolta come d'incanto, lasciando posto all'amaro e all'incredulità.
All'improvviso lei mi diede una banconota da cinquanta euro, non capivo, credevo che l'emozione del conquistato amore mi stesse facendo un cattivo scherzo, pensai, vuole che le compro qualcosa, perché mista dando questi soldi? Stavo per chiederle il perché di quel comportamento, quando all'improvviso mi sentii come se mi stessi svegliando uno stato catatonico.
In quel momento mi resi conto che inconsciamente, ed in modo totalmente automatico, avevo soddisfatto la sua richiesta con un biglietto da cento euro, e quello che lei mi stava dando, non era altro che il resto per la sua prestazione.
In un lampo, così come era apparsa, svanì nel buio che ormai ci aveva fagocitato. Ritornai a casa, emulando la copiosa pioggia che mi accompagnava, con le lacrime che irroravano il mio viso.