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Perché voglio scrivere di Liliana? Forse c’è un arcano legato a quell’essere o sono io che cerco risposte a domande che non ho mai formulato per disinteresse o supponenza. Di concreto è emersa dalla memoria ed entra a pieno titolo in quel circuito vitale che è l’autobiografia.
Era (spero che lo sia ancora) figlia del profondo sud. Quell’orgoglio usciva a tratti con parole dialettali di cui non ho mai chiesto la traduzione. Quando c’incontravamo volevo solo bruciare il tempo che ci separava dal chiuderci nel motel sulla paullese. Non avevamo molto tempo a disposizione: un paio d’ore e poco più.
Eri solo un’alternativa per compensare i sinistri, metafisici scricchiolii che quotidianamente percuotevano il mio matrimonio? Eri solo una testimonianza della mia vanità? Può essere.
Quello che ho scoperto oggi lo chiamo mistero.
In genere detesto questa parola. Niente è più reale per me del vivere tutte le contraddizioni, le ansie, le verità negate del desiderio e dei suoi spasmi. Ti desideravo quasi con dolore tanto ne ero consapevole.
Il tuo abbraccio era forte e spontaneo. Ti spogliavi con naturale lentezza senza sospiri, grida o gesti che celebrassero la liturgia dell’incontro.
Entravo allora in quella dimensione al di là della passione che dava gloria al corpo e ne annullava la fisicità. Il tempo non era più e non avevamo timori nel prenderci. Ricordo la forza vera e incondizionata che ci avvolgeva. La mia mente partiva per un sogno senza immagini governato da una bellezza senza riserve. L’ovvietà fisiologica si nutriva di silenzio.
E’ questo il mistero: perché solo adesso, nella rivisitazione della mia vita, riesco attraverso le parole scritte a testimoniarla? Mi chiedo se l’emergere di così personali ricordi sia condivisibile senza danni per me e per chi partecipa.
Non ho risposte ma sento la necessità di correre il rischio.
Un altro incontro terminò con un “...la prossima settimana mi trasferisco a Solbiate Arno....”. Ti chiesi il nuovo recapito ma sapevi solo dirmi che saresti andata via. Si chiudeva un capitolo. Ero pronto sin dal primo giorno.
Sapevo che non avremmo retto a lungo quella precarietà che ci regalava magnifiche tempeste, incertezze, illusioni e nel contempo mi dava un’eredità che ho tenuto chiusa in un cassetto.
Oggi l’ho aperto senza patemi e rimpianti.
Come dice la canzone di Aznavour “...i giochi dell’amore li abbiamo giocati tutti...” . Spero che tu sia felice.
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Utente Anonimo
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