Dopo aver mangiato la pizza, la cameriera chiese se volessimo un dolce e nostro figlio esordì con quella richiesta così tenera: "Io vvoio lo sszucchero filato". 

Cinque anni di sorrisi capaci di ribaltare la vita di due quarantenni intrappolati in carriere stressanti e vite piene. La nascita di nostro figlio aveva sovvertito l’ordine delle priorità, come mai avremmo pensato.

Avevamo immaginato quel momento per nove mesi, pianificandolo in ogni dettaglio. Credevamo di essere pronti ad accogliere quel bimbo e forse, per certi versi, lo eravamo.

Avevamo cambiato la macchina, perché su una spider non ci saremmo stati; e la casa, per avere una stanza da letto in più, che forse non sarebbe servita prima dell'adolescenza. Ci eravamo procurati il passeggino Trio, che costa come un motorino ma è meglio di un Transformers perché fa da culla, da ovetto per l’auto e da passeggino. Avevamo comprato anche lo scaldalatte, il tiralatte e una marea di vestitini della taglia sbagliata. Tutti a consigliarci i tre mesi e nessuno a chiedersi come mai esistesse la taglia zero; quando arrivò il tempo di mettergliele la stagione era cambiata. Per prepararci all’evento, avevamo speso più del necessario, convinti di far bene.

Capimmo l'inadeguatezza degli oggetti quando ci ritrovammo da soli con quel corpicino minuscolo tra le braccia. Eravamo goffi nel maneggiarlo, avevamo paura di fargli male. Lui per metterci a nostro agio, piangeva come la sirena di un allarme che scatta nel cuore della notte. Aveva fame, sonno, l’aria nel pancino, gli scappava la cacca, dalla tetta non riusciva e succhiare e non eravamo in grado di consolarlo. Quel bimbo lo avevamo desiderato tanto e pensavamo che sarebbe stato biondo, angelico e non tutto rosso con quell’espressione arrabbiata che ricordava la faccina della tastiera di WhatsApp.

Il solo aiuto concreto era l’auto. Appena lo posavamo sul sedile, e iniziavamo a guidare, si addormentava  e allora via, con la nuova monovolume, a girare per la città a qualsiasi ora. Quando si tranquillizzava, il profumo di burro della sua pelle, le manine minuscole, quei piedini paffutelli e la pelle chiara, scioglievano i nostri cuori e facevano dimenticare la fatica. Era un sentimento che cresceva con il passare dei giorni e metteva a nudo la dolcezza seppellita dalla vita di tutti i giorni.

Quella sera, usciti dalla pizzeria, ci incamminammo verso il luna park.

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