- Alzati! Alzati!! Devi andare via!!-
Non si muoveva, forse era davvero morta stavolta, forse l’aspirina aveva fatto il suo effetto.
- Porca troia! – pensavo – a furia di giocare con quella merda c’è rimasta sotto-
Edith aveva trentanove anni, io trentaquattro.
Eravamo come dei ragazzini, pieni di merda alle spalle.
Non avevo mai voglia di parlarne con lei per paura di sentirne sventolare l’odore della sua.
Non mi fregava un cazzo del mio dolore vecchio, stantio, puzzolente come un pollaio pieno di carcasse.
Badavo al suo. Mi occupavo a pieno regime del suo.
Mi ruppi i coglioni per qualche tempo dello stato in cui vivevo e alle porte d’ogni mattino mi svegliavo col profumo del rimorso.
A fianco trovavo il suo corpo seminudo, coi vestiti che le avevo sfilato nella notte, appallottolati da qualche parte nella stanza.
- Fottimi!! – ed io la fottevo.
Poi tornavo in essere, dall’assenza d’un po’..e fottevo me stesso.
Mi avvicinai al suo orecchio con gli occhi tutti sbronzi, misi una mano sotto la coperta e trovai le sue all’altezza del sesso. Provai a muoverle sperando potessimo dar seguito a quello che era inziato la sera prima:
- Ma che cazzo! Sei morta? Vuoi alzarti? –
Nessun cenno.
Ma ero sicuro fosse lì ad ascoltarmi: lo faceva spesso di terrorizzarmi coi suoi maledettissimi giochi.
- Puttana Eva! Tornatene da dove sei venuta – le urlai
Mi misi a piangere d’improvviso, come si fa quando non trovi la via di casa e la notte, buia, assassina , ti percuote l’anima.
Tenni le mani giunte fra le cosce, a cercar compassione e calore, poi le portai a coprirmi le orecchie come per non ascoltare il silenzio invadente di quegli attimi.
Sentì un tonfo. Dopo un attimo vidi qualcosa pendere da un lato del letto. La luce era buia. Sperai che la persiana si aprisse. Non accadde e mi alzai. Divenni luce e mi sostituii alla persiana.
Era il braccio di Edith, che adesso pareva il manico dello stesso ombrello che qualche giorno prima avevamo portato a casa e che lei aveva detto di voler “provare” per masturbarsi ed eccitarmi.
A terra, il suo stupido libro. Erano tutti stupidi i suoi libri. Leggeva per sete.
Cazzo! Si stava rianimando.
Volevo darle uno schiaffo: mi ero cagato sotto dalla paura!
E non avevo nemmeno un bicchiere pieno. La lascia stare a giacere sul letto, andai in cucina, mi feci un caffe e mi sfilai i pantaloni, rientrai e la vidi con le ginocchia al petto, il libro sulle ginocchia, le spalle al muro e lo sguardo concentrato.
Ero tra il morderle un capezzolo e il tornare a fotterla.
Passarono diverse ore, mi riposai al suo fianco senza mai sfiorarla, neppure con lo sguardo.
Pensavo se fosse stato meglio non averla vista morire o se alla fine, era meglio che l’aspirina avesse fatto il suo affetto. Restai col dubbio.
Ogni mattino trovo un libro ai piedi del letto a riposare.
Tutto è diventato normale, tutto ha il sapore del folle, anche il dolore resta mio, quando m’accorgo d’averlo succhiato dal suo.