Da bambino non amavo fare a pugni ma adoravo guardare le risse.
Non mi piaceva esser coinvolto negli attriti.
Mi piaceva goderne dal di fuori.
Eh si, un vigliacco.
Vivevo un benessere strano, come quando ci si masturbava solo perché avevamo quattordici anni.
Avevo appena finito un allenamento. Il campo da calcio era enorme, raccolto tra alberi d’ulivo e strade sterrate.
Mi si avvicinò un figlio di puttana alto e grosso il doppio di me.
- Dammi quel tuo orologio. Adesso sarà mio –
- Vieni a prendertelo, coglione! - reagì impavido.
Mi strattonò e caddi per terra: forse mi sbucciai una mano poggiata sul terreno colmo di pietre appuntite.
Mi alzai e con il coraggio di un pirata mi avventai su di lui. Lo afferrai per il collo. Mi augurai e glielo dissi, che potesse morire in quel momento.
L’adrenalina si impadronì di ogni pezzettino del mio corpo.
Con tutta la forza sferrai uno schiaffo che ancora ne ascolto l’attrito e il rumore sordo.
Aveva un viso tondo e pieno il mio stupido detrattore.
mentre gli altri ragazzi osservavano e si sparavano la loro dose quotidiana di non curanza, io continuavo a dimenarmi per l’orologio ormai orgoglio a pieno titolo.
- È stato sempre un ragazzino tranquillo – si diceva di me.
col cazzo!
Alla fine me lo strappò via dal polso.
Vedo ancora i mille pezzi (in realtà due o tre) in cui si ruppe.
Mi sentì come tradito, ferito dal mio Io.
L’odio tornò a colmare tutti gli angoli rimasti vuoti.
E via con un cazzotto sullo zigomo! Stavolta lo feci crollare. Ero il mio eroe.
Mi trovai sopra quell’ammasso di carne disumana e stavo per colpirlo nuovamente, quando mi ricordai di non amare fare a pugni.
Raccolsi ciò che restava del mio scettro e impettito di rispetto, m’accorsi d’esser divenuto Grande per la prima volta…