«Cosa ci fa una bella forestiera da queste parti?», chiese il viscido uomo.
Paola lo squadrò dalla testa ai piedi e si voltò dall’altra parte. Odiava la maleducazione. Lui si sporse verso di lei, tanto da sentirgli il fiato puzzare di birra e le strinse forte il braccio. Chiunque avrebbe urlato di dolore, ma non lei.
«Siete sorda per caso?»
Paola lo fulminò con lo sguardo e con uno scatto si liberò dalla sua presa.
«Se non siete il proprietario dell’albergo, potete anche sparire!»
L’uomo rise di gusto, prese il bicchiere e bevve assetato quel nettare di luppolo. Si pulì la bocca con la mano e le fece l’occhiolino ridendo di gusto. Si stava prendendo gioco di quella signorina così ordinata e pulita. Paola profumava di muschio bianco e chiunque le fosse vicino poteva percepire la sua pelle morbida e delicata. L’eccitazione dell’uomo fu fin troppo in evidenza e sapere di esserne stata la causa la disgustò. Paola si affrettò a suonare di nuovo quel benedetto campanello finché non apparve una donna. La grazia non era certo tipica del posto. La prima cosa che notò fu la scollatura a dir poco volgare. I suoi occhi nascosti da un trucco pesante scrutò la giovane ospite. Paola era incredula per quell’ambiente così squallido.
Ricambiò lo sguardo e pensò a quanti anni potesse avere. Cinquanta? Settanta? Non si sbalordì quando aprì la bocca e una voce roca per le troppe sigarette fumate, le chiese «Una camera?»
Senza aspettare risposta, prese un modulo «Beh, compila, firma e dammi un tuo documento. Te lo renderò più tardi. Questa è la tua chiave. Se la perdi ti costerà venti euro.»
Dalla sala accanto risate sguaiate di sconosciuti che consumavano bevute tra rutti e bestemmie urlate al vento, facevano da coreografia all’assurdità del momento. Paola si rinchiuse in camera e liberò lo specchio dall’imballo. Lo tenne stretto a sé e gli chiese «Ma dove diavolo mi hai portato? Spero di cuore che tu mi dia una risposta sensata. E subito!» E invece non ricevette alcun segnale.
L’indomani chiese a quella donna volgare se conosceva qualcuno che potesse aiutarla a valutare il suo antico oggetto, ereditato da una parente stretta mancata da poco. «So che è stato acquistato da queste parti. Sarei curiosa di conoscere la sua storia e il suo valore». La donna rise a bocca aperta, come se le avesse raccontato una barzelletta. Si trattenne dall’andarsene senza aspettare una risposta.
«Il vecchio Arnaud potrebbe aiutarti» e senza darle altre indicazioni, si voltò ritornando dietro quella porta da dove era apparsa la sera prima.
Paola non se ne meravigliò. S’incamminò per la strada con lo specchio in mano, chiedendo informazioni a quelle poche anime vive a giro per il paese. Si perse in quelle vie e ormai stremata dalla stanchezza, giunse davanti a quella che doveva essere la casa dell’uomo. Salì pochi gradini e bussò alla porta. Attese qualche minuto e riprovò. Nessuno. Forse era uscito. Si sedette su uno scalino e tirò fuori il suo e-reader.
«Non vado da nessun’altra parte. Prima lo incontro e prima finirà questo incubo.»
Trascorse qualche ora e dell’uomo nemmeno l’ombra. Snervata e affamata decise di tornare alla locanda e di riprovarci il giorno dopo. Si rinchiuse di nuovo in camera e interrogò di nuovo lo «Specchio specchio delle mie brame, chi e cosa devo cercare?». Non ricevendo ancora una volta una sua risposta, si spogliò e indossò una camicia da notte. Dopodiché si ammirò davanti a quello specchio e si accorse che nel frattempo qualcuno le aveva scritto la risposta che aspettava. Almeno così Paola credette. Una sola parola, agghiacciante, insensata, le fu scritto dalla solita mano ignota. Rimase in silenzio. «Mort». Morte. Non era proprio quello che avrebbe voluto sapere dallo spirito sconosciuto.
«Hai sempre un’enigma per ogni domanda che pongo. Esiste una risposta per ogni risposta che pretendo da te?»
In quel preciso istante, un urlo interruppe i suoi pensieri. Uscì dalla camera e si sporse dalle scale. Le donne delle pulizie correvano su e giù per le stanze e piangevano per lo spavento. Dal bar uno gruppo di persone preso dal panico uscì dall’albergo per chiamare aiuto. Un uomo disteso sul pavimento rivolgeva il suo sguardo verso il soffitto. Proprio quell’uomo che il giorno prima le aveva stretto forte il braccio, quell’uomo a cui puzzava il fiato da paura e si era eccitato con il profumo di Paola, ora si trovava privo di vita al centro nella sala d’ingresso. Gli occhi spalancati e la bava alla bocca lo rendevano più viscido di come lo ricordasse in vita. Nemmeno da morto riusciva a darsi un contegno... Morto. Uno strano sorriso di soddisfazione apparve sul volto di Paola. Si ricompose subito, e continuò a osservare l’isterismo degli ospiti. Poi rientrò in camera, perché cominciava ad annoiarsi.
Si rivolse verso lo specchio e chiese: «È opera tua?» Silenzio. Il giorno dopo ritornò davanti all’abitazione di Arnaud e bussò, sperando di non dover ritornare alla locanda. Invece la porta si aprì e un uomo anziano si affacciò. «Buongiorno. Ho bisogno di parlarle. Ho bisogno di lei.» L’uomo sorrise per dovuta cortesia, odorò quel profumo di fresco e cambiò subito espressione. «Tu?» Indietreggiò e chiuse la porta. A chiavi. Paola incredula per ciò che aveva appena assistito, rimase impietrita da quei modi sgarbati e cominciò a bussare, di nuovo. E più forte. E più forte ancora cominciò a urlare.
«Cosa intendi dire vecchio? Tu, chi o cosa? Chi hai riconosciuto? Me o lo specchio? Sono venuta qui apposta per avere una risposta. Da come hai reagito, deduco che tu sia in grado di darmela.»
La porta si riaprì ma con la catena di sicurezza inserita e l’uomo si sporse per suggerirle un consiglio.
«Te ne devi andare via da qui. Da questo paese. Butta via quello specchio! Porterà guai a te e a tutti noi.»
«Prima voglio sapere tutto. Mi sa che sono dentro più di quanto io creda»
Il vecchio sbuffò e per un secondo i suoi occhi fissarono quelli di Paola. Abbassò subito lo sguardo e le parlò con il cuore in mano.
«La tua anima è compromessa. Lo avverto. Non puoi tornare indietro ma puoi provare ad andare avanti. Tornatene da dove sei venuta. Ma da sola, senza quello specchio. Te ne devi liberare.»
«Devo sapere perché sono coinvolta.»
«Testarda eh»
«Molto».
Chiuse di nuovo la porta. Sentiva da dietro una mano scivolare verso l'alto. Sentì liberare la catena e l’uomo apparve di nuovo, ma questa volta a figura intera e le fece cenno di entrare. Paola non riusciva a dargli un’età.
Più di cento? Era curvo, e aveva molte rughe sul viso. «Si sieda pure che arrivo subito. Gradisce una tisana?» Senza attendere conferma, s’incamminò verso la cucina e continuò a parlarle. Paola nel frattempo si sedette sul divano. Non le importava nulla della tè o tisana che fosse. Non aveva mai capito la differenza, ma doveva assecondarlo per farsi aiutare. «Sì, grazie» «Adoro questo momento di relax. Sa che il più antico documento medico con le erbe risale al 1500 a.C.?»