Me ne stavo nel mio tranquillo buio.
Odiavo il rumore. Qualsiasi tipo di rumore.
Vivevo i miei giorni in silenzi assordanti e sommerso da gente di merda.
Stavo bene.
Non avevo per nulla voglia di veder donne o uomini che mi compiacessero, che leggessero ciò che avevo scritto.
Erano momenti pieni di parole, ne ero immerso fino al culo, ogni giorno trattavo il mio dolore con la penna, ogni giorno mostravo qualcosa che appagava e svuotava il senso di malessere di qualcun altro.
Per questo piacevo. Per questo mi odiavo.
- Ma quando penserò a salvarmi la pelle?-
Mille i tentativi, ogni volta vani e con un bicchiere pieno di birra o una scorta di Negroni.
Una sera mi ritrovai a bere al bancone di un pub grande come un corridoio anni sessanta.
Mi accompagnava un amico meno stupido di me.
Di fronte avevo una gran fica.
Non era sola, ma per tutta la sera la guardai e le scrutai la schiena, la immaginavo distesa a pancia in giù , mentre le sfilavo i jeans e le mordevo la pelle.
Bevvi il primo sorso e mi sentì subito forte, quasi crudele.
Non mi piacevano i legami d’alcun genere.
Poggiai il bicchiere su una di quelle tovagliette in tessuto idrorepellente, tutta colorata, chiesi di riempire con lo stesso.
Cominciava lo show.
Me ne sbattevo del buon costume in quegli attimi, forzato e dettato dall'inconscio tirai fuori quel che sapevo.
Dalla bocca svolazzarono pensieri fieri, assemblati con dovere di cronaca, tutti stavano ad ascoltare, qualcuno mi offriva da bere.
Erano i giorni dell’uscita del mio primo libro, non ne ero cosciente, non gli davo alcun peso.
Chi era attorno rimaneva assorto nelle parole leggiadre.
- Collaboriamo. Io sono un pittore - disse quello dietro il bancone.
- Io ti voglio bene. E adoro ciò che dici - continuò l’altro omone dalla cresta colorata.
Feci per concludere il mio “giro” e bevvi il terzo bicchiere. Il sapore rimaneva forte e ghiacciato.
Strinsi la mano di un ragazzo che mi aveva ascoltato per tutto il tempo senza mai intervenire, poi mi fece i complimenti.
- Per quale cazzo di motivo lo hai fatto?- mi riferivo ai complimenti.
Non disse nulla e sorrise, poi mi abbracciò.
Lo guardai stordito e mi trascinai in auto.
La gran fica che prima era di fronte, adesso fumava.
Al mio incedere lento e barcollante si avvicinò, chiese di vederci dietro la farmacia.
Non capivo. Non sapevo.
Pragmatico mi precipitai dietro la farmacia.
Scesi di corsa e per quello che potevo saperne di riuscire a correre in quello stato di assenza , ci abbracciammo per quaranta secondi.
Da qualche parte avevo letto che l’efficacia d’un abbraccio stava in quel tempo.
La sentì con tutto il suo corpo (e che corpo).
Mi entrò dentro, spianò strade e corridoi di piacere.
Le suggerì con imponenza.