«Papà, ci sposiamo!»
Il boccone quasi mi strozza. All'improvviso diventa un bolo troppo grosso e secco per poterlo ingoiare. Bevo, deglutisco. C'era qualcosa nell'aria, ma non pensavo a questo.
«E a quando il lieto evento?»
Il tono con cui lo chiedo non suona brioso come avrebbe dovuto: se n'è accorta anche Maria, ha spostato il suo sguardo da Claudia a me, lo sento addosso.
«Ah, subito, andiamo dal prete e via!» risponde Jimmy, proseguendo con una fragorosa risata.
Dev'essere senz'altro incinta, ma non posso chiederlo a bruciapelo.
Diplomatico, Biagio, introduci il discorso.
«Ma c'è molto da organizzare. Tutta la cerimonia, per esempio, coi vestiti, i fiori, i fotografi. E poi il pranzo e le bomboniere. Sono cose per cui occorre molto preavviso. Senza contare che il parroco non accetterà di sposarvi senza un corso prematrimoniale. Non vorrete compiere un passo così importante senza prepararlo al meglio, voglio dire, che fretta c'è?» sorrido.
Bravissimo Biagio, hai dimostrato premura. Il corso è un'idea azzeccata: dopo il primo incontro, il cretino, qui, se la svigna. Sicuro. A te la mossa.
«Ci pensa mio papà a pagare tutto, e ci fa lui due paroline col prete, che si conoscono bene!» e ammicca.
Bella mossa. Certo, è come segnare un rigore avendo pagato l'arbitro, ma il punto rimane.
«Eh, bello avere un papà che pensa proprio a tutto» dico. Ma è stato un errore e il piede di Maria, da sotto il tavolo, raggiunge il mio stinco.
«Papà, ho bisogno della mia indipendenza. Non dici sempre che devo responsabilizzarmi e avere progetti per il futuro?»
Claudia mi ha appena fatto fare un autogol. E due. Almeno non è incinta. Un matrimonio si può sempre annullare, una gravidanza... è più complicato. Resta il sospetto che non sia niente di più di una scusa per stare da soli e avere un posto dove accoppiarsi in santa pace. So bene che già lo fanno, non sono così ingenuo, ma non voglio pensarci. Potrei proporre loro di fare un periodo di convivenza. Non ne sarei entusiasta, ma forse Claudia aprirebbe gli occhi, col tempo. Capirebbe che può avere molto di più di questo zotico.
Inizio il discorso: «Ma certo, l'indipendenza è importante per i giovani, offre molte opportunità di maturare...»
«Oh, cameriere! Porta un'altra boccia di rosso!» urla Jimmy.
S'è già scolato il vino. Non ho nemmeno fatto in tempo ad assaggiarlo. Era un buon Nero d'Avola, ma per 'sto cretino andava benissimo un Tavernello. Non riesco a finire la frase per quanto mi ha irritato il suo comportamento.
Il tavolo viene sgomberato dai piatti vuoti e assieme alla successiva “boccia di rosso” arrivano anche i secondi. Ho ordinato un filetto ma non ho più appetito.
Jimmy. Perché chiamare un figlio Giacomo, per esempio, quando puoi chiamarlo Jimmy? Non sia mai che non si distingua tra gli altri ebeti.
Si avvinghia alla mia Claudia, eseguendole una gastroscopia con la lingua. Anche Maria distoglie lo sguardo imbarazzata. Sono tentato di restituirle il calcio. Abbasso gli occhi sul piatto, mi prudono le mani e devo impegnarle, così comincio a tagliare. Ho chiesto una cottura media ma dal filetto sgorga il sugo vermiglio della carne.
Quindi eccomi qui, a mangiare poco e male, senza un goccio di vino decente, a farmi mancare di rispetto da un figlio di papà il cui unico interesse è scoparsi mia figlia. Ho sbagliato con lei, anche se non so dove. Ma le voglio bene, è sangue del mio sangue. Lo stesso che mi ribolle nelle vene. Non posso fare altro che amarla, come non posso impedirmi di odiare lui. È così facile stringere il coltello, alzarmi da tavola e avvicinarmi a Jimmy, calare un colpo dietro l'altro, aprirgli la carotide e far zampillare il sangue dalle sue carni. Claudia è attonita e solo quando è troppo tardi cerca di fargli da scudo. Maria è sotto shock. Pallida come un cencio, si contrappone alla mia figura imbrattata di sangue, mentre spingo via Claudia dall'ammasso gorgogliante di carne da cui ancora non ho tratto abbastanza soddisfazione, quel corpo ormai senza vita, un fantoccio su cui riversare il mio odio e la mia rabbia. Irrispettoso piccolo figlio di...
«Papà? Tutto bene?»
Mi riscuoto dai miei pensieri. Sto stringendo il coltello, le mie dita sono pallide per lo sforzo. Mi costringo a lasciarlo andare e lo poso accanto al piatto. Bevo un sorso d'acqua.
«Io... credo di essere letteralmente sopraffatto dall'emozione, tesoro» le sorrido, e lei mi illumina di rimando con la sua felicità. Jimmy se ne esce con una scemenza, ma non lo ascolto, non è importante. Importa solo Claudia e il suo sorriso. Devo fidarmi della mia bambina, prima o poi capirà chi la ama davvero.
Jimmy lo posso sistemare in un altro momento.